mercoledì 9 dicembre 2015

Su quale valuta puntare nel 2016?

Lo yen è slegato dagli eventi del Mediterraneo ma dipende dalla forza del dollaro
Trovare riparo in una valuta forte è una delle scelte possibili per chi vuole ridurre i rischi in una fase di azioni terroristiche e di tensioni militari. Ma quale può essere una valuta forte? Il rapporto euro-yen, così come altri rapporti valutari (vedi in pagina e a fianco), permette di scegliere opzioni complementari alla valuta europea. Ma volendo aggiungere prodotti denominati nella moneta giapponese bisogna scegliere il momento giusto, visto che di solito si parte da flussi europei denominati in euro.

«Gli effetti del terrorismo e le tensioni internazionali dopo gli attentati di Parigi e l’escalation degli interventi in Siria - sostiene Serge Escudé, ricerca e investimenti di Cassa Lombarda - potrebbero contribuire nel breve a rinforzare lo yen verso l’euro in quanto tradizionalmente la divisa giapponese è vissuta come un porto sicuro nei momenti difficili sui mercati finanziari. Questo trend - aggiunge - potrebbe essere accentuato nel breve dalle mosse espansive che la Bce probabilmente adotterà il 3 dicembre». Tuttavia questa tendenza all’apprezzamento potrebbe essere contrastata nei mesi successivi dai possibili futuri interventi della Banca Centrale giapponese e del governo. «Infatti gli economisti si aspettano - continua Escudé - già a gennaio un nuovo stimolo fiscale di 3 trilioni di yen (24,5 miliardi di dollari) da parte del governo di Abe ma anche una successiva manovra espansiva della Banca del Giappone se lo stimolo fiscale non bastasse a far riprendere l’economia e l’inflazione del paese».

Non è un contesto facile per chi volesse diversificare sulla moneta del Sol Levate, in un momento in cui le valute entrano in fibrillazione. «A breve termine - ricorda Asoka Wöhrmann, responsabile degli investimenti per Deutsche Bank Awm - la volatilità del dollaro Usa sarà probabilmente confermata, sia rispetto ai mercati emergenti che nei confronti delle valute di finanziamento come euro e yen. In una prospettiva di lungo periodo prevarranno tuttavia i fondamentali: la crescita statunitense continuerà a essere più rapida di quella europea o giapponese e i tassi di interesse Usa saranno più elevati. Entrambi questi fattori dovrebbero incoraggiare l’afflusso di capitali. La storia suggerisce inoltre che il ciclo rialzista del dollaro Usa potrebbe durare ancora qualche anno». Fra i vantaggi di investimenti in prodotti vari (azioni, fondi e altro) denominati in yen c’è una certa marginalità rispetto alla tensione mediterranea.

«Il Giappone - ricorda Joe Corbach, esperto di valute di Gam - non sembra essere un obiettivo terroristico. Oggi lo yen sembra essere la valuta con minori rischi dato il rimpatrio di una quota importante di risparmi dei giapponesi. Il cambio euro/yen non è scambiato in maniera diretta, ma attraverso i cambi dollaro/yen ed euro/dollaro quindi come riflesso di tali fluttuazioni».
Il cambio dollaro/yen è stato abbastanza stabile. Ma, nelle ultime settimane, «la valuta giapponese è stata piuttosto debole a causa delle aspettative di un ulteriore ampliamento dello spread con gli Usa in vista dell’atteso rialzo dei tassi da parte della Fed a dicembre da un lato, e dell’incremento dello stimolo monetario da parte della BoJ dall’altro.

Ciò significa che l’apprezzamento dello yen nei confronti dell’euro - conferma Corbach - ha rispecchiato l’apprezzamento del dollaro sull’euro e non ha nulla a che vedere con l’avversione al rischio o l’afflusso di capitali verso il Giappone considerato un porto sicuro». Leggere quindi l’opzione yen come area non interessata al conflitto, potenzialmente in crescita e scollegata da quanto avviene nelle altre grandi valute è probabilmente una forzatura. Si può forse prevedere una minor volatilità da “venti di guerra”, una sorta di distacco dagli eventi di drammatica attualità. Ma niente di più, il mondo delle grandi valute è strettamente collegato e quindi i movimenti sono legati alla forza del dollaro e all’eventuale ulteriore indebolimento dell’euro.

Come conferma Matteo Paganini, chief analyst di Fxcm Italia: «Proprio perché il cambio euro/yen è frutto di una moltiplicazioni di cambi originali, bisogna guardare ai cambi euro/dollaro e dollaro/yen. Il rapporto fra la valuta europea e quella nipponica si muoverà a ribasso nel caso in cui uno dei due cambi principali (con l’altro stabile), o entrambi, si muovano a ribasso. Viceversa, se i due cambi originali si muovono a rialzo (o uno dei due lo fa mentre l’altro si mantiene stabile), il cross salirà. Le dinamiche relative all’economia americana in ripresa e quelle che descrivono l’andamento della congiuntura europea, oltre che quelle legate ad avversione o propensione al rischio sono dunque da monitorare».

La complessità di un movimento così intrecciato sembra escludere al risparmiatore retail una scelta in autonomia, per chi vuole diversificare le valute l’opzione è quella dei fondi, azionari ma anche obbligazionari, che investono su Tokyo in moneta locale. Cercando di intervenire in una fase di relativa ripresa della valuta europea per non dover pagare subito un costo iniziale.

lunedì 7 dicembre 2015

Puntare sulla sterlina inglese nel 2016?

È un buon momento «per investire nella sterlina contro l’euro, anche in un’ottica di diversificazione del portafoglio». A dirlo è Paul Lambert, gestore di Insight (BNY Mellon) specializzato in valute. E, più del terrore che si spande sull’Europa, è la divergenza tra le politiche monetarie il tema chiave che influenzerà l’andamento della sterlina, oltre che del dollaro, nel medio termine. «Le date cruciali - prosegue Lambert - sono il 3 dicembre, quando ci sarà il meeting della Bce, e il 17 dicembre, quando la Fed annuncerà la propria decisione sui tassi d’interesse negli Stati Uniti.

Ci aspettiamo che la Bce potenzi il programma di acquisto di titoli e tagli ulteriormente il tasso di deposito, e che la Fed proceda con la stretta monetaria aumentando il tasso obiettivo per la prima volta negli ultimi nove anni. In seguito a queste misure, la sterlina si rafforzerà ancora. È molto probabile che la Bank of England mantenga un atteggiamento attendista nel corso del 2016, ma i rialzi dei tassi in Gran Bretagna avverranno comunque con largo anticipo rispetto alla stretta monetaria della Bce, e prima di quanto i mercati si aspettino». Così, nell’ambito di una strategia che per massimizzare i rendimenti potenziali privilegi l’investimento sul dollaro contro l’euro, aprire una posizione in sterline può essere una mossa intelligente.

«Gestire attivamente le valute aiuta a diversificare il portafoglio in uno scenario in cui le posizioni sul biglietto verde sono particolarmente affollate - conclude Lambert - Ci saranno occasioni in cui la sterlina offrirà opportunità tattiche più attraenti – ad esempio, nel caso di probabili inversioni di breve periodo nelle tendenze valutarie. Investire nella moneta britannica potrebbe costituire, in questi casi, un modo più sicuro per guadagnare dalla debolezza dell'euro rispetto a un portafoglio eccessivamente esposto al dollaro».

sabato 5 dicembre 2015

Previsioni franco svizzero per il 2016

C’era una volta il franco svizzero. Un tempo tra i beni rifugio per eccellenza la moneta elvetica negli ultimi anni ha perso il suo status. L’ennesima conferma è arrivata nelle ultime settimane quando, a fronte di tensioni geopolitiche crescenti, il franco non ha subito significativi apprezzamenti nei confronti dell’euro. Anzi, dopo gli attentati di Parigi la moneta unica ha guadagnato circa l’1%. Venerdì indiscrezioni su un possibile intervento della banca centrale svizzera per indebolire il cambio favorendo l’economia hanno spinto ulteriormente al ribasso il franco.

«Nell’ultimo anno sono saltate molte delle correlazione a cui eravamo abituati» spiega Andrea Cuturi, vice presidente di Anthilia sgr. «L’oro non funziona più come bene rifugio, i bund hanno quotazioni troppo tirate per esserlo e neppure il franco svizzero svolge più questa funzione. I mercati – continua Cuturi – guardano ormai ad una sola cosa ossia alle mosse delle banche centrali». Le politiche ultraespansive rendono tutto ovattato, compresa la percezione del rischio.

In passato la banca nazionale svizzera ha speso molto per mantenere il cambio artificialmente basso salvo poi gettare la spugna il 15 gennaio 2015 causando un apprezzamento del franco del 18% nel giro di pochi minuti. Per effetto di queste politiche la banca centrale elvetica presenta asset in bilancio per un controvalore di oltre 600 miliardi di franchi quasi il 100% del Pil svizzero (a fronte di rapporti intorno al 30% di Banca centrale europea, Federal Reserve o Bank of England). «Investire sul franco svizzero vuol dire esporsi ai rischi delle mosse di una banca centrale che è di fatto diventato il più grande hedge fund valutario al mondo - sottolinea Cuturi – e in questo momento non vedo motivi per fare una scelta di questo tipo». La moneta svizzera potrebbe ritrovare il suo appeal, conclude Cuturi, soltanto a fronte di scenari davvero catastrofici come ad esempio la prospettiva di una rottura dell’euro.

mercoledì 2 dicembre 2015

Perché il prezzo del petrolio rimarrà sui minimi

Si spegne sul finire di settimana il tentativo di rimbalzo dai minimi di periodo per il crude oil. Il corso del petrolio non riesce neanche a raggiungere la resistenza di breve/medio periodo ai 40 dollari, segnando il massimo settimanale a 43,30 dollari, salvo poi scendere e chiudere l’ottava a ridosso dei 42 dollari al barile. Rimangono dunque con il cerino in mano gli operatori che la settimana scorsa avevano puntato su un rialzo del petrolio più solido, come testimoniano i dati sugli scambi long/short sugli Etp, che avevano visto un incremento delle posizioni long del 40% rispetto alla settimana precedente.

Prevale dunque lo scetticismo degli operatori sul prossimo meeting dei membri dell’Opec il prossimo 4 dicembre. Per la maggior parte dei commodity trader, verrà mantenuta inalterata la quota produttiva dei membri che compongono il cartello del petrolio innescando almeno fino alla fine dell’anno ulteriore debolezza sul mercato. L’Opec ha pompato oltre il target, a 30 milioni di barili al giorno, per tutti gli ultimi 17 mesi e secondo un sondaggio, presso gli operatori del settore, il gruppo dei paesi esportatori manterrà inalterata la sua politica di mercato almeno fino alla metà dell’anno prossimo.

Se poi si aggiunge, che nel 2016, dovrebbe anche tornare a esportare greggio l’Iran, ecco che le aspettative sui prezzi crollano miseramente. Per le prossime sedute, tecnicamente, è atteso un ritorno sul supporto dei 40 dollari al barile in prossimità dei minimi di metà novembre. Tuttavia il ribasso sul mercato non dovrebbe arrestarsi qui, perché anche l’incognita meteo potrebbe pesare sul settore. Gli analisti di Goldman Sachs ad esempio, stimano che se l’attuale situazione meteo dovesse continuare (con temperature superiori alle medie un po’ dappertutto nel mondo) ci potrebbero essere persino picchi ribassisti finanche i 20 dollari la barile.

L’attuale situazione, oltre a creare problemi a quei paesi esportatori (come il Venezuela) che non reggono i bassi prezzi del greggio, sta inasprendo la vera e propria guerra per il mantenimento delle quote di mercato in un contesto caratterizzato da un eccesso di offerta a livello globale. Il campo di battaglia, manco a dirlo, è la Cina. C’è infatti una battaglia all’ultimo gallone di benzina per essere il maggior esportatore di prodotto verso Pechino. Prima dell’attuale situazione, la Russia era saldamente al primo posto come fornitore di greggio alla Cina. Tuttavia, nel giro di un anno le cose sono cambiate in fretta. Secondo i dati di ottobre, il Paese guidato da Vladimir Putin, con le sue 3,41 milioni di tonnellate esportate verso la Cina, non solo si è fatto scavalcare dall’Arabia Saudita (3,99 milioni di tonnellate), ma è stato scalzato anche dall’Angola (3,64 milioni) nella speciale classifica.

lunedì 30 novembre 2015

Previsioni sul franco svizzero per il 2016

Torna in auge questa settimana presso gli investitori valutari il franco svizzero, che ha ceduto i minimi annuali contro il dollaro Usa. Il dollaro/ franco ha infatti continuato la sua corsa rialzista anche in questa ottava (dopo aver raggiunto e superato la parità lo scorso 6 novembre), andando a infrangere quota 1,03.

Nel dettaglio, durante la seduta di venerdì, il cambio ha rotto al rialzo un’importante resistenza a quota 1,0250 franchi accelerando improvvisamente di più di mezza figura, con massimo relativo a 1,0329 franchi. Il movimento ha sorpreso non poco gli operatori, che mai avrebbero pensato di affrontare e rompere i precedenti massimi al primo tentativo. La testimonianza di questo si è avuta proprio dall’ampiezza del movimento dopo la rottura, che sta a significare la «presa» di molti stop loss.

Le ragioni che stanno alla base del movimento rialzista del dollaro americano sul franco svizzero sono sicuramente da imputare alle diverse strategie di politica monetaria tra le banche centrali. Se da una parte è praticamente scontato un rialzo dei tassi d’interesse, con la decisione della Federal Reserve il prossimo 16 dicembre dall’altra, gli operatori, temono un intervento della banca centrale svizzera a favore del rafforzamento della propria moneta contro l’euro, per il possibile allargamento del Quantitative easing da parte della Bce. Attualmente le quotazioni dell’euro/franco gravitano a ridosso di 1,09 franchi, che risulta essere non solo un buon livello di equilibrio ma è anche nella parte superiore del range 1,05/1,10 franchi che si è prefissato il governatore della Snb, Thomas Jordan.

Tuttavia, come ci ha insegnato il forex negli ultimi anni, gli scenari possono variare nell’arco di pochissimo tempo con gli interventi straordinari delle banche centrali.

Un endorsement per un intervento della Banca Centrale Svizzera è arrivato dal keynesiano Joseph Stiglitz che, a margine di un’intervista rilasciata durante il Lugano Fund Forum, ha esortato le autorità monetarie a reintrodurre la soglia minima di cambio che era in vigore fino allo scorso gennaio. L’ex capo economista della Banca Mondiale ha giudicato corretta l’adozione dei tassi negativi, ma li considera insufficienti, per cui ha invitato la banca centrale elvetica a intervenire di nuovo sul mercato dei cambi.

«È scorretto aspettarsi che l’economia reale sopporti le conseguenze dei movimenti sui mercati dei capitali», ha detto Stiglitz, «la soglia minima non era una distorsione del mercato, ma al contrario la correzione di una distorsione dovuta ai flussi di capitali. Per l’economia elvetica sarebbe però stato meglio fissare il cambio in rapporto a un paniere di divise dei principali partner commerciali». Al netto di possibili interventi da parte della Schweizerische National-Bank, un’operazione interessante sul cambio dollaro/franco sarebbe l’attesa di un ritorno su quota 1,0250 franchi per poi investire lunghi sul cambio. Strategia da sconsigliare per chi vuole fare sogni tranquilli perché in caso d’intervento della Snb non c’è stop che tenga, come hanno avuto modo d’imparare sulla propria pelle molti investitori rimasti scottati dalla mossa (a tradimento) di gennaio scorso.

sabato 21 novembre 2015

Leva e margine nel Forex

La leva e il margine sono importanti poiché. se usati bene, sono validi alleati, mentre se usati impropriamente possono portare a perdite non previste. Leva e margine si riferiscono allo stesso concetto, solo mostrano un punto di vista diverso. Quando un trader lavora a leva e apre una posizione, viene richiesto di mettere a garanzia una frazione di quella posizione a fronte dell’operazione.

Questo ammontare si chiama tecnicamente «margine richiesto». Il margine richiesto è spesso definito deposito di buona fede perché il trader ritorna in possesso di tutto il margine quando è chiusa l’operazione. Da questo si deduce che i depositi di margine sono richiesti per fare trading, non sono un costo. Un grande beneficio del mercato Forex è che offre alcuni tra i minori requisiti di margine tra tutti gli strumenti finanziari disponibili.

Questo significa che il potere d’acquisto è molto più elevato rispetto a un conto mancante della possibilità di utilizzare la leva. Vediamo ora un esempio di leva e margine. Supponiamo che un trader apra una posizione da 10k su EurUsd. Il trader non deve fisicamente disporre di 10.000 euro come garanzia, ma in base a come è impostata la leva della controparte con la quale opera, possono bastare 50 o 100 euro. Con un rapido calcolo possiamo stabilire che la leva dei due esempi è 200:1 o margine 0,5% (50 = 0,5% di 10.000) e 100:1 o margine 1% (100 = 1% di 10.000).

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mercoledì 11 novembre 2015

Cambio euro dollaro verso la parità? Quando?

Il cambio Eur/usd sarà fortemente influenzato dalle prossime decisioni del presidente della Bce, Mario Draghi, e della sua collega americana, Janet Yellen. Per questo questa coppia rimane al centro dei traders del Forex anche in questo periodo (operaci tramite Etx , il broker che offre le migliori condizioni di spread su questa coppia di valute).

Per prevedere le prossime decisioni dei due banchieri centrali (il 3 dicembre tocca alla Bce, il 16 la palla passa alla Federal Reserve) bisogna tenere presenti non soltanto i consueti dati macro ma anche i nuovi equilibri globali che si stanno profilando a livello geopolitico. In questa partita ci sono due spettatori, uno attivo, la Cina, e uno passivo, gli altri Paesi emergenti.

Questi ultimi, nel caso in cui la Fed il mese prossimo dovesse aumentare il costo del denaro per la prima volta dal giugno del 2006, mettendo fine alla politica dei tassi zero avviata nel dicembre 2008, rischierebbero di soccombere sotto il peso del dollaro forte, visto che sono molto indebitati in questa valuta. Non per niente, a settembre la Yellen aveva giustificato il mancato rialzo con i rischi legati a questi Paesi. In quell’occasione aveva citato in particolare la Cina, che tuttavia, dalla sua posizione di seconda economia mondiale, ha la capacità di prendere adeguate contromisure.

Venerdì 6 novembre sono stati diffusi gli attesissimi dati sull’occupazione Usa, che sono andati meglio del previsto. Tra gli investitori le probabilità di un aumento dei tassi il mese prossimo sono subito salite al 70% dal 58% del giorno precedente. E in effetti, a prima vista, i numeri sono stati ottimi: a ottobre i posti di lavoro sono saliti di 271 mila unità, ben oltre i previsti 182 mila, mentre il tasso di disoccupazione è sceso al 5%, al livello più basso dall’aprile 2008, quando non era ancora scoppiata la bomba Lehman Brothers. Anche i salari sono aumentati più delle attese, del 2,5% su base annua.

Di conseguenza il dollaro si è rafforzato toccando i massimi da dicembre 2002 sull’euro, sceso fino a 1,0708. La moneta unica sembra quindi avviata verso la parità con il dollaro. Obiettivo mai esplicitato dalla Bce, ma in cuor suo auspicato. Altrimenti non si capirebbe perché Draghi abbia creato le premesse per un rafforzamento del Qe il mese prossimo, magari accompagnato da un taglio dei tassi sui depositi dal -0,20 al -0,30%.

Le aspettative al riguardo sono tali che se l’istituto di Francoforte dovesse deluderle con una minima variazione del piano di acquisto di bond, che ora procede al ritmo di 60 miliardi di euro al mese, la delusione dei mercati sarebbe grande. Ma se Draghi pensasse che la Yellen è decisa ad aumentare i tassi due settimane dopo, allora potrebbe essere tentato di non toccare il Qe, limitandosi a rilasciare dichiarazioni da colomba del genere «siamo pronti a fare di più qualora fosse necessario».

Questo perché il rialzo dei tassi Fed porterebbe comunque l’euro verso la parità. Se il rialzo della Yellen fosse preceduto dal lancio di un Qe plus della Bce, l’euro rischierebbe di svalutarsi troppo, scendendo sotto la parità. O meglio, il dollaro si rafforzerebbe al punto da mettere in difficoltà i Paesi emergenti, ostacolando la ripresa Usa e aumentando inoltre i rischi di deflazione.

La soluzione ottimale sarebbe: lancio del Qe plus della Bce mentre la Fed rimanda ancora una volta il rialzo dei tassi. Ma c’è il rischio che i dati migliori delle attese incoraggino i sostenitori dell’aumento del costo denaro, convinti, tra l’altro, che, questo aiuti a mantenere la credibilità della Fed. Di aumento dei tassi entro la fine dell’anno si è infatti parlato troppo, rinunciarvi sarebbe uno smacco. Stesso discorso per il Qe plus della Bce. Insomma, c’è il rischio che per mantenere la parola data, la Fed e la Bce facciano un errore dietro l’altro. In ogni caso, l’euro sembra destinato alla parità con il dollaro, a meno che Draghi rinunci a rafforzare il Qe e la Fed rinvii ancora una volta il rialzo dei tassi.

Questi sono ragionamenti sul breve termine, purtroppo gli unici che interessano agli investitori. Ampliando l’orizzonte, a favore di un rialzo dei tassi da parte della Fed c’è il fatto che sette anni di tassi zero rischiano di provocare danni irreparabili. Come hanno sottolineato l’economista Paolo Savona e il gestore di Janus Capital, Bill Gross, rendimenti nulli o addirittura negativi sugli investimenti in titoli di Stato provocano l’eutanasia del risparmiatore e rischiano di far saltare il sistema pensionistico. Alla lunga la politica dei tassi rasoterra, appiattendo la curva dei rendimenti, toglie qualsiasi incentivo a investire nel lungo termine.

Le prospettive di breve e lungo termine devono poi essere collocate entro un quadro più ampio, che comprende i rapporti geopolitici. Le relazioni tra gli Usa e l’Europa trovano la loro metafora nelle politiche monetarie della Fed e della Bce. La Yellen e Draghi si comportano come una coppia d’altri tempi: anche quando i due governatori annunciano politiche monetarie a prima vista opposte, rappresentano strumenti addirittura complementari. Fanno parte di un disegno unitario, come sono inseparabili le economie delle due sponde dell’Atlantico. Questo anche volendo trascurare, se non fossero ancora più forti, i legami politici, militari e strategici rappresentati dal Trattato del Nord Atlantico.

Ed ecco che cosa dovrebbe succedere per arrivare al migliore risultato possibile: se il mese prossimo la Yellen aumenterà i tassi, il cambio tra euro e dollaro nei 12 mesi successivi dovrebbe scendere a 0,95 dollari. Il rafforzamento del Qe della Bce servirebbe invece a far uscire l’Eurozona dalla morsa della deflazione: a ottobre l’indice è stato pari a zero, distante anni luce dall’obiettivo del 2%. L’unico modo per aumentare i prezzi interni nell’area dell’euro, considerando gli stringenti vincoli posti ai deficit pubblici e le politiche di severità salariale volte a migliorare la competitività esterna, è rappresentato dalla svalutazione del cambio e dal conseguente aumento dei prezzi all’importazione. I tassi negativi sui depositi presso la Bce e la immissione di liquidità sono gli strumenti necessari per sollecitare il deflusso di capitali dall’Eurozona e la conseguente svalutazione. L’effetto delle dichiarazioni di Draghi sul cambio dell’euro è stato istantaneo: giovedì 22 ottobre, nel corso della conferenza stampa in cui annunciava la possibile estensione del Qe a dicembre, il cross sul dollaro è passato da 1,132 ad 1,117.

C’è poi una seconda ragione per svalutare l’euro: sulla base dell’impostazione tedesca, una sana crescita economica dell’Eurozona deve fondarsi sulla capacità di competere sui mercati internazionali, e l’assorbimento della disoccupazione deve derivare dalla domanda estera. Purtroppo, per quanto riguarda l’economia dell’Eurozona, il rallentamento della crescita cinese, la crisi dei Paesi emergenti e la contrazione ai minimi dei prezzi delle materie prime e del petrolio hanno vanificato gli effetti positivi attesi dalla svalutazione dell’euro: cioè importare inflazione e sostenere l’export. Di converso, per quanto riguarda gli Usa, da più di un anno la Cina non reinveste più i suoi attivi commerciali in titoli del debito pubblico statunitense, e anzi più volte è parsa agire per venderli. Se dunque già da parecchi trimestri molti capitali hanno lasciato l’area dell’euro per investire in dollari, questa tendenza si rafforzerà quando i tassi americani saliranno, come è dichiarata intenzione della Federal Reserve.

Occorre dunque insistere, con una strategia sinergica: sia con il rafforzamento del Qe da parte della Bce sia con l’innalzamento dei tassi da parte della Fed. L’immissione di altra liquidità in euro e il contestuale aumento dei tassi sul dollaro agevoleranno contestualmente la svalutazione dell’euro e il carry trade (l’investimento a leva) verso l’area del dollaro. Tutto ciò è coerente con un disegno in cui l’Europa subentra alla Cina nel finanziamento del debito pubblico americano e del suo disavanzo commerciale, e magari di tanti crediti in dollari nei confronti dei Paesi emergenti. Questo mentre la svalutazione dell’euro avvantaggerebbe l’export dell’Eurozona e il conseguente surplus verrebbe reinvestito negli Usa: l’interdipendenza tra le due aree economiche diverrebbe ancora più forte, divenendo il miglior viatico per l’approvazione del Trattato Transatlantico per la liberalizzazione dei servizi e la protezione degli investimenti. In questi termini, la penalizzazione di cui l’economia americana soffrirebbe nei confronti dell’industria europea sarebbe ampiamente compensata dall’apertura alla concorrenza del settore dei servizi, che rappresentano un punto di forza dell’economia statunitense e più in generale anglosassone.

Questo schema sarebbe subito vantaggioso per entrambi, Usa ed Eurozona, e soprattutto ben bilanciato in prospettiva. Sembra tutto ben congegnato, se non ci fosse l’incognita cinese: se lo yuan si allineasse all’euro, svalutandosi a sua volta sul dollaro, i giochi si riaprirebbero. Gli sforzi dell’Europa volti a recuperare competitività deflazionando i salari e svalutando sarebbero vanificati.
Gli Usa, a loro volta, tornerebbero ad avere un disavanzo commerciale difficilmente sostenibile e forse anche il dollaro sarebbe compromesso nella sua solidità. Le banche europee si troverebbero di fronte al rischio di accollarsi le perdite di una nuova bolla del credito americano. Pechino ha riserve valutarie rilevanti, si sente circondata per via dell’Accordo Trans Pacifico, e ha già reagito con la decisione di abrogare la legge sul figlio unico per rilanciare la sua economia su basi sane, quelle demografiche. La partita è aperta, nessuno ha mai in mano tutte le carte del mazzo.

Cosa fare in sintesi

Monitora quindi le decisioni delle Banche Centrali pronto a entrare long o short sul cambio. Posizione attuale: short. Utilizza Etx per minimizzare i costi di negoziazione.

lunedì 9 novembre 2015

Euro Dollaro previsioni novembre 2015

Il presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, questa settimana è riuscito con il minimo sforzo ad alleviare le pressioni rialzista dell’euro/dollaro. Come nel settembre di due anni fa, quando bastarono le parole «l’euro deve tenere, e terrà» per placare immediatamente le speculazioni, anche questa volta il presidente non ha avuto bisogno che di una dichiarazione per raffreddare il corso dell’euro/dollaro.

Nello specifico, il Mario Draghi ha detto che il livello di espansione monetaria assicurata dalla Bce dovrà essere riesaminato in dicembre da un direttivo «che vuole e può» utilizzare tutti gli strumenti a sua disposizione per far fronte ad un’inflazione che nel breve termine rimarrà molto bassa. Insomma, Draghi ha messo l’elmetto ed è pronto ad agire nuovamente ma per ora ha vinto con il solo effetto annuncio, un po’ come faceva a suo tempo la Banca centrale svizzera (prima di perdere totalmente la credibilità con il papocchio dell’eliminazione del floor di 1,20 franchi).

Fra le opzioni che il presidente della Bce considera come attuabili in tempi stretti c’è un’estensione del Quantitative easing (che attualmente dovrebbe interrompersi nel settembre del 2016) e un ritocco al ribasso del tasso sui depositi bancari. In scia alle dichiarazioni del numero uno della Bce, l’euro/ dollaro è letteralmente crollato perdendo in mezza giornata più di due figure contro il dollaro e passando dai 1,1320 dollari pre-conferenza stampa agli 1,11 dollari di fine giornata.

«L’euro si trova ora a contatto con uno dei supporti statici di medio periodo a 1,1020 dollari », spiega Antonio Landolfi, forex trader indipendente. In caso di rottura ribassista confermata, l’area di arrivo è 1,08 dollari che è anche l’ultimo livello supportivo prima del test dei minimi di 1,05 dollari ». Nonostante però le parole di Draghi, non è scontata l’immediata rottura ribassista del supporto sopracitato a 1,1020 dollari. Il corso del cambio di riferimento tra l’economia europea e quella americana potrebbe infatti fare ritorno anche in area 1,11 dollari dove ci sarebbe il ritest della trend line ascendente (rotta nell’ultima seduta dell’ottava) partita con i minimi di 1,05 dollari. Una tale configurazione grafica durante le prossime sedute, rafforzerebbe un’ipotesi di fase ribassista per il cambio.
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Focus Cina

Sempre in grande fermento la banca centrale cinese che dopo l’imponente decisione di svalutare lo yuan a fine agosto sta ancora cercando di riequilibrare le storture del proprio mercato a colpi d’interventi monetari e non. Questa volta il direttorio cinese ha deciso di varare una nuova serie di misure espansive, la sesta da novembre dell’anno scorso, intervenendo sul costo del denaro e sul livello minimo delle riserve al fine di rilanciare l’economia. Nel dettaglio, il tasso sui prestiti a un anno è stato portato a 4,35%, con un taglio di un quarto di punto. Identica limatura da 25 punti base sul tasso per i depositi a un anno, che passa da 1,75% a 1,5%. Il coefficiente sulle riserve che i singoli istituti di credito devono parcheggiare presso la banca centrale è stato invece ridotto di 50 punti base.

La banca centrale ha spiegato che quest’ultima mossa monetaria è per andare in contro alle pressioni al ribasso che incombono sulle prospettive per la crescita, parlando inoltre di un percorso di inflazione diverso da quello favorito dalle autorità. La Cina conferma ancora di essere il driver principale in grado di muovere i mercati.

domenica 20 settembre 2015

Forex come incrociare due valute

Il trading sul mercato valutario consente di implementare delle strategie di protezione delle posizioni che non è possibile realizzare su altri mercati. Supponiamo di avere una posizione corta su EurUsd (ciò significa che abbiamo venduto euro e comprato dollari) che ci sta andando contro, ma che non vogliamo chiudere.

L’indebolimento del dollaro potrebbe essere un fenomeno presente anche su altri rapporti valutari (per esempio Usd-Chf). Se vendessimo, contro franco svizzero, la medesima quantità di dollari che abbiamo comprato contro euro, la nostra posizione finale sarebbe sinteticamente corta EurChf. Ciò potrebbe consentire di gestire con maggiore tranquillità una posizione senza per forza doverla chiudere.

Tale strategie può essere definita come arbitraggio o hedging: la trasformazione di una posizione in sofferenza su una coppia di divise in una posizione ottenuta sinteticamente su un’altra coppia di divise potrebbe far guadagnare tempo prezioso e ridurre il rischio in attesa che il mercato torni a dare ragione alla visione originariamente espressa.

È ovvio che il timing di entrata della posizione di protezione deve in qualche modo essere ottimizzato per portare quel profitto che almeno parzialmente dovrebbe controbilanciare l’andamento negativo della posizione originaria.

Per provare il Forex questo mese ti consigliamo Markets.

lunedì 3 agosto 2015

Previsioni euro dollaro per fine 2015

Il dollaro è destinato ad apprezzarsi ancora? I prezzi ci stanno dicendo che il rialzo dei tassi si sta avvicinando al mese di settembre. Il dollaro ha ripreso il proprio rally da metà giugno ed ora si trova su livelli (Dj Fxcm Dollar Index) che potrebbero dare adito sia a ritracciamenti sia a tentativi di rotture rialziste, a testimonianza della forza del biglietto verde, che sta andando a scontare quello che probabilmente sarà l’ultimo rush rialzista in attesa dell’effetto tassi.

Che impatto ha la forza del dollaro sui listini Usa? Le Borse americane continuano a puntare i massimi storici, con il Nasdaq che ha rotto gli ultimi massimi di periodo e gli altri due indici principali che in intraday potrebbero ancora essere lavorati a rialzo. Ma se ragioniamo a livello di medio-lungo periodo, i rapporti tra rischio e rendimento derivanti da potenziali operazioni in acquisto di Borse iniziano a divenire sfavorevoli. Dal momento in cui i tassi verranno rialzati, infatti, è verosimile che accadano delle riallocazioni di portafoglio alla ricerca di una nuova ripartizione tra rendimenti sicuri (bond governativi) e di rischio, con quest’ultimo comparto che potrebbe assistere a prese di profitto che potrebbero condurre a storni dei listini azionari.

Quali gli effetti sull’euro? Il dollaro potrebbe attirare nuovi flussi di capitale, continuando il proprio rafforzamento, con potenziali continui cambi di direzionalità contro l’euro a causa dell’ottimismo per la risoluzione temporanea della questione greca. Mentre la moneta unica contro le altre major potrebbe mostrare situazioni di debolezza legate alla continuazione del quantitative easing della Bce.

Considerando le attese che circondano le commodity currencies (in cima a tutte il dollaro australiano, seguito da quelli neozelandese e canadese), il dollaro Usa potrebbe avere più strada contro di esse. Nel medio-lungo periodo sarà cruciale capire il ritmo relativo ai rialzi perché potrà determinare la velocità di riallocazione dei portafogli.

Quali rischi all’orizzonte? Il potenziale rafforzamento del dollaro potrebbe indurre a sottovalutare il rischio cambio sottostante a investimenti in dollari (sia lato obbligazionario sia azionario), situazione da non affrontare con leggerezza soprattutto dagli investitori europei, in virtù della potenziale bi-direzionalità che potrebbe caratterizzare il cambio euro/dollaro. La moneta unica potrebbe risultare sotto pressione, pur continuando ad alternare momenti di volatilità sia al rialzo che al ribasso.

Per operare sul cambio euro-dollaro, ti consigliamo il broker inglese ETX che propone il miglior spread.

martedì 7 luglio 2015

Previsioni euro-dollaro con QE e Grexit

La domanda che molti operatori e trader si fanno è se il trend rialzista del dollaro sia giunto al capolinea oppure ci sia spazio per ulteriori rialzi nel secondo semestre dell’anno. Ognuno ovviamente farà le sue analisi e valutazioni e sulla base dei risultati pianificherà ed effettuerà la propria strategia, oppure si limiterà a seguire le evoluzioni del mercato step by step senza pregiudizi e provando a sfruttare le diverse opportunità che si presenteranno, sia in una direzione sia nell’altra. Noi della Mtrading Segnali propendiamo per quest’ultimo approccio, in quanto crediamo sia difficile ad oggi riuscire a fare delle previsioni abbastanza attendibili anche solo su un orizzonte mensile, figuriamoci semestrale; pertanto la nostra mission consiste nel cercare sempre di sfruttare i movimenti di breve dettati dai nostri segnali operativi.

lunedì 6 aprile 2015

Trading online e Forex

Il trading online richiede tempo, competenza e software Per motivi di lavoro navigo spesso in rete e su internet sono subissato da un’invasione di inviti a guadagnare con il trading.
È un vero investimento? Come scegliere la società con cui operare? C’è un detto in finanza: a Wall Street nessun pasto gratis. Come per dire, che sui mercati finanziari nessuno regala niente. La moltitudine di pubblicità che sta invadendo i siti e la stampa specializzata è sintomatica di un settore in grande fermento, soprattutto da quando il mercato del Forex (il valutario) è diventato accessibile anche al piccolo risparmiatore.

È il mercato più liquido al mondo, non regolamentato e che resta aperto 24 ore al giorno: questo consente un’operatività praticamente ininterrotta. Si promettono tecniche, strategie vincenti anche con piccole somme di denaro. Sul mercato non bisogna dimenticare che il 90% dei trader perde sistematicamente soldi. Ci si avventura con superficialità in un mondo dove servono competenza, regole e grande disciplina. Questo non esclude che ci siano persone che possano anche vivere con queste attività, ma l’importante è non farsi abbagliare da facili illusioni.

Si tratta spesso di attività di trading intraday, vale a dire con apertura e chiusura di posizioni in giornata. In questo caso occorre avere le dotazioni tecnologiche necessarie (software, e così via) e il tempo per seguire con attenzione gli sviluppi di mercato. Molto importante è anche la scelta del broker a cui affidarsi: in primis deve essere un broker autorizzato dalle autorità italiane oppure da autorità estere riconosciute nel nostro paese.  Consigliati da noi: Etx e Markets

Sul sito Consob periodicamente emergono nominativi, segnalati ad esempio dalle autorità di tutta Europa, di broker che non sono autorizzati a svolgere attività in campo finanziario. Occorre sempre quindi verificare la regolarità del proprio intermediario prima di qualsiasi altra mossa. Solo in questo modo si ha la certezza che vengano rispettati i protocolli e le modalità di gestione fissate dalle autorità. Molte società hanno ad esempio sede in paradisi fiscali, con i quali non esistono rapporti. In questo caso è molto complicato avviare azioni legali qualora dovessero emergere contenziosi o problematiche relative alla gestione del denaro depositato dai risparmiatori.

mercoledì 1 aprile 2015

Cambio euro dollaro. Come guadagnare ora

Affonda lo spread e soprattutto l’euro/dollaro. La cura del presidente della Bce, Mario Draghi, sta effettiva- mente cominciando a dare i suoi frutti con un cambio sempre più vicino alla parità. Ultimo di una lunga serie di strumenti messi in campo dalla banca centra- le, il Qe è stato disegnato con il preciso intento di scongiurare lo spettro di deflazione in alcuni paesi europei. E se era abbastanza prevedibile il crol- lo dello spread tra Btp italiani e Bund tedeschi, molto meno pronosticabile era invece l’ampiezza del movimento ribassista in atto sul cambio. L’euro, dai massimi relativi di maggio 2014 quando quotava ancora 1,40 dol- lari, ha perso il 25%.

Nella sola settimana scorsa, da quando è cominciato effettivamente il Qe, l’euro/dollaro ha registrato praticamente solo sedute negative con una performance settimanale in rosso di circa il 4% e con un minimo toccato sotto quota 1,05 dollari. Tecnicamente l’euro/dollaro si trova all'interno di una fase ribassista, che potrebbe arrestare la sua discesa solo al raggiungimento del supporto di brevissimo a quota 1,04 dollari.

L’area di target è indi- viduata grazie all’intersezione di due trend line abbastanza particolari: la prima, quella di breve/medio periodo, è parti- ta con il massimo relativo di dicembre 2004 a quota 1,3667 dollari e si costruisce con il minimo relativo di dicembre 2008 a 1,2320 dollari e con il mini- mo di giugno 2010 a 1,1925 dollari. La seconda trend line dina- mica, quella di lungo periodo e che conferma la bontà del target, è partita con il minimo storico di ottobre 2000 a 0,8240 dollari e formatasi con l’ulteriore minimo di giugno 2001 a 0,8404 dollari. Il supporto di 1,04 dollari sembra tutta- via solo un target intermedio prima del raggiungimento del vero obbiettivo, consacrato a gran voce e/o in segreto dagli analisti, quota 1,01 dollari. Poche le banche d’affari che hanno messo i loro target sot- to la parità per il 2015. Solo gli analisti di Citigroup hanno dato un target intorno a 0,90 dollari entro la fine dell’anno.

Autorevoli, ma opinabili, le indicazioni di Deutsche Bank che tra tutte le banche d’affari è la più pessimista sulla quotazione dell’euro/dollaro per i prossimi anni, stimando che il cambio a fine 2016 sarà a 0,90 dollari, mentre per fine 2017 a 0,85 dollari. Nell’ambito queste analisi, bisogna poi inserire il dibattito su quello che potrebbe essere il vero evento dell’anno: il rialzo dei tassi d’interesse da par- te della Fed. Su questo tema risultano ancora molto contra- stanti le opinioni sulle possibili ripercussioni, non solo sull’economia americana ma su tutto il panorama globale. Preso per assunto che oramai è solo una questione di tem- po, secondo alcuni operatori un rialzo dei tassi della Fed potrebbe portare ad un ulteriore afflusso di capitali nella zona euro a causa dell’effetto negati- vo sui titoli azionari Usa.  Per operare sul cambio euro-dollaro, ti consigliamo il broker autorizzato Etx , che applica i migliori spread di mercato su questa coppia di valute.

Altri invece sostengono l’opinione contraria, ossia che ci saranno maggiori afflussi di capitali sui titoli di Stato americani «per- chè alla fine il T-bond è sempre il T-bond» e rappresenta il miglior approdo. Dollaro Usa/yen. Il cambio non è riuscito a superare la resistenza di area 121,65 yen, nonostante i numerosi ten- tativi. L’area di resistenza è particolarmente importante perché oltre a costituire un li- vello grafico di breve periodo, lo è anche per il lungo. Tale resistenza è infatti coincidente con il massimo relativo di febbraio 2007. Nell'eventualità (probabile) che il cambio tenti di nuo- vo una rottura rialzista della resistenza, il primo target individuabile risulta essere area 124 yen, massimo relativo toccato a giugno 2007.

Da segnalare L’obiettivo di lungo periodo a 134 yen, massimo toccato a fine 2001. Nel ca- so di uno scenario ribassista, il dollaro/yen sul breve periodo ha come target 118,26 yen, equivalente all'incrocio tra il supporto statico dei minimi toccati a metà febbraio e una trend line ascendente partita con il minimo del 14 dicembre 2014 a quota 115,7 yen e formata con i minimi segnati intorno ad area 116,30 yen di metà gennaio 2015. Nel caso si vada oltre al target ribassista sopracitato, gli ulteriori obbiettivi «short» sono da individuare in area 115,60 yen per poi arrivare a 109 yen, un supporto di medio periodo ri- salente ai massimi del lontano agosto 2008.

Per quanto riguarda infine l’euro/yen, il target ribassista più probabile risulta essere a quota 126,70 yen. Tuttavia l’operati- vità è da sconsigliare per la proporzione rischio/rendimento non favorevole nel breve periodo.

lunedì 30 marzo 2015

Banche centrali e Forex. Come investire nel 2015

Nel 2015 le banche centrali avranno un ruolo determinante nello sviluppo del quadro macroeconomico e finanziario. Federal Reserve, Bank of England, Banca Centrale Europea e Bank of Japan si sono progressivamente concentrate su obiettivi complementari, quali la crescita, l’occupazione, la stabilità dei prezzi, più interni alle regioni di loro principale influenza. La naturale conseguenza è quella di avere politiche monetarie che si muovono su dinamiche diverse e in modo asincrono.

“L’andamento delle valute e certi trend quali il rafforzamento del dollaro americano o l’indebolimento dello yen ne sono la naturale conseguenza – spiega Monica Defend, global strategist di Pioneer Investments – Bisogna ricordare che le banche centrali influenzano anche le dinamiche di offerta e domanda dei titoli governativi. Quest’ultimo elemento, che riteniamo rilevante, influisce in modo sostanziale anche nelle nostre previsioni, delineando un progressivo rafforzamento del dollaro fino quasi alla parità verso l’euro”. Per un investitore europeo, ci sono altre valute da “giocare” oltre il dollaro? L’inflazione a livello globale è molto bassa, se confrontata alle medesime fasi passate del ciclo economico.

Di recente ciò ha portato le stesse banche centrali ad adottare misure di politica monetaria inattese dagli investitori. Di conseguenza, costruire un basket di cambi giocandosi il tema dell’inflazione può rivelarsi una scelta vincente. Per esempio, assieme al dollaro statunitense, anche la sterlina, il peso messicano e la rupia indiana sono appetibili. Le ultime due valute offrono inoltre un discreto differenziale sui tassi di interesse che protegge dall’eventuale movimento avverso del tasso di cambio.

Quali invece i cambi da cui stare lontano?

Le valute più rischiose rimangono quelle correlate ai prezzi dei beni primari, come dollaro australiano o canadese. Per esempio, a gennaio la Bank of Canada ha inaspettatamente tagliato il tasso di sconto e un ulteriore intervento espansivo è previsto nel corso dell’anno, nonostante la crescita economica e l’inflazione siano previsti a target dalla stessa istituzione. Perciò fino a quando il trend ribassista di petrolio e metalli non sarà definitivamente corretto, consigliamo di non prendere posizioni lunghe strutturali. Quello dei cambi rimane un mercato molto volatile.

Come tutelarsi al meglio?

Le valute sono storicamente una classe di attività volatile, anche se le banche centrali hanno de terminato dei trend abbastanza persistenti. In ogni caso crediamo che i cambi vadano sempre in seriti in un contesto di portafoglio e di diversificazione del rischio. Per questo motivo è molto importan te affidarsi a gestori professionali che dispongono di informazioni e strumenti che consentono attuare scelte oculate e, se è il caso, porre in essere le opportune stra tegie di copertura (hedging) per far fronte a situa zioni di crisi.

Guardando invece agli strumenti, quali sono a vostro avviso i prodotti più adatti per investire nelle valute? Il panorama di strumenti per investire nelle valute è ampio e variegato e comprende anche fondi comuni di investimento specializzati su quella che è ormai diventata una vera e propria asset class. Come dicevo prima si tratta di attività altamente volatili, a cui consigliamo di avvicinarsi solo dopo essersi confrontati con il proprio consulente o promotore e, in ogni caso, nell’ambito di un portafoglio ben diversificato.

mercoledì 25 marzo 2015

Euro dollaro ai minimi. Su che valuta puntare?

Target di 1,08 dollari a por tata di mano per l’euro/ dollaro. Con il buon dato macro del Non Farm Payroll, pubblicato venerdì scorso, il cambio ha definitivamente abbandonato il rettangolo che comprimeva i prezzi dalla fine gennaio andando a chiudere la settimana a ridosso di 1.,0875 dollari. L’Us Bureau of Labor Statistics (Bls) ha comunicato che, nel mese di febbraio, so- no stati creati, nei settori non agricoli, 295 mila nuovi posti di lavoro, dato ben superiore alle aspettative del consensus (+235 mila).

Solitamente il mese di febbraio aveva portato a numeri non particolarmente brillanti legati anche alle proibitive condizioni climatiche di alcuni stati che rallentavano le assunzioni. Invece, i nuo- vi posti di lavoro hanno quasi raggiunto le 300 mila unità, portando la media degli ultimi 12 mesi a +266 mila. Il tasso di disoccupazione è sceso al 5,5% (attese al 5,6%) e il tasso di partecipazione al lavoro ha registrato una leggera flessione dal 62,9% al 62,8%. A contribuire alla rottura ribassista del rettangolo dell’euro/dollaro però ci ave- va già pensato Mario Draghi, nella riunione di giovedì scorso a Cipro.

Il governatore, dopo aver mantenuto i tassi invariati, ha infatti spiegato le modalità con cui da lunedì comincerà gli acquisti dei titoli di stato, facendo scendere il cambio, per la prima volta da agosto 2003, sotto 1,10 dollari. Nel brevissimo periodo ci sarà probabilmente un ritorno su area 1,0950 dollari finanche 1,11 dollari, salvo poi cominciare la discesa.

Assunto che oramai l’economia americana sembra essersi ripresa definitivamente (conferma ultima si avrà con il dato dell’inflazione), l’attenzione degli operatori si è spostata sul timing con il quale la Federal Reserve rialzerà il suo tasso d’interesse. Una tale manovra da parte delle autorità prima di giugno (mese accreditato dalla maggior parte degli operatori per il prossimo rialzo dei tassi), potrebbe portare a una svalutazione ancora più importante della valuta europea, tanto che alcuni cambisti par- lano addirittura di parità tra i cambi.

Per i trader «retail», è consigliabile non addentrarsi in operazioni di medio periodo sul cambio, ma è anzi auspicabile seguire il movimento giorno dopo giorno con magari una size ridotta ed uno stop sempre in macchina. Sterlina/dollaro Usa. Molto interessante il movimento settimanale del cable che ha praticamente annullato il rialzo del mese di febbraio. Il cambio è infatti passato dal massimo relativo di 1,55 dollari alla chiusura dell’ottava a ridosso di 1,5050 dollari. Il movimento si è fermato ad un soffio dal supporto di medio periodo (e soglia psicologica) a 1,50 dollari. Nell’eventualità che il supporto non regga si apre la possibilità per il cable di raggiungere un target ribassista individuato a 1,4820 dollari, corrispondente al minimo dell’8 luglio 2013 e dell’11 marzo 2013. Dollaro Usa/Lira turca. Settimana di tensione per il cambio dollaro americano contro lira turca.

La valuta di Istanbul, già caratterizzata da una debolezza intrinseca causata dalla lotta intestina tra il governo e la banca centrale sulla politica monetaria da attuare, durante questa ottava ha patito particolarmente la forza del dollaro raggiungendo un massimo storico a quota 2,6475 lire. Il cambio, nei con- fronti del biglietto verde, si è indebolito da inizio anno di oltre il 10%.

Tecnicamente però il movimento al rialzo del cambio è cominciato nel gennaio del 2013, quando il dollaro/lira ritracciò il supporto statico di medio periodo (tutt’ora valido) individuato in area 1,7514 lire. Nel breve/me- dio periodo, il supporto valido risulta essere in area 2,05/2,10 lire in corrispondenza dei mi- nimi relativi di fine maggio 2014. Dopo aver ritestato tale supporto nel luglio del 2014, ha avuto inizio un forte movimento rialzista che ha rotto la resistenza posta in area 2,40 lire (adesso diventata supporto di brevissimo) andando a segnare i nuovi massimi storici. Operatività molto complicata per le prossime sedute a causa della forte volatilità e alla mancanza di precedenti riferimenti grafici.

Decisamente più semplice l’operatività sull’euro contro lira turca. Il cambio ha chiuso la settimana a ridosso di 2,86 lire sulla resistenza costruita con il massimo relativo del 7 dicembre 2014. Per le prossime sedute è probabile che il cambio prenda un attimo fiato intorno a quest’area per poi andare a cercare il test della resistenza di medio periodo (molto importante) in area 2,92 lire.

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lunedì 23 marzo 2015

Previsioni franco svizzero–euro 2015

Il 15 gennaio la Banca Nazionale Svizzera ha sorpreso gli investitori ponendo fine agli interventi sul mercato valutario e di fatto eliminando il limite minimo al cambio del franco con l’euro. Alida Carcano, responsabile investimenti e presidente di Valeur Gestion, ricorda che la mossa della Bns era inevitabile: dopo anni di andamenti fortemente divergenti tra l’economia svizzera e quella europea le regole di mercato dovevano prima o poi prevalere.

«I mercati hanno dimostrato che le banche centrali possono indirizzare i movimenti valutari nel breve periodo ma non controllarne il valore di medio lungo periodo. Con l’autorità elvetica il mercato valutario ha perso uno dei più grandi compratori di euro. Infatti a fine 2014 gli investimenti in euro rappresentavano il 46% del bilancio della Bns, che negli ultimi tre anni si era gonfiato esponenzialmente», aggiunge Carcano.

Le conseguenze per l’economia svizzera sa- ranno tendenzialmente negative nel breve termine, soprattutto sui versanti della crescita economica e degli utili societari. «Questi ultimi subiranno un duplice impatto negativo: da un lato l’effetto di conversione dei proventi generati all’estero in valute più deboli del franco svizzero, dall’altro l’effetto del disallineamento tra co- sti e ricavi», aggiunge Carcano.

«Le imprese quotate in Svizzera e facenti parte dello Smi (Swiss Market Index, ndr) generano ben il 93% dei propri utili all’estero. Ubs ha stimato che, ipotizzando una rivalutazione del franco del 17% nel 2015, gli utili delle società dello Smi dovrebbero diminuire del 18% circa». I settori che più accuseranno il colpo saranno il farmaceutico, i beni di lusso e il comparto finanziario, i cui costi a bilancio in franchi svizzeri storicamente superano di molto le entrate in franchi».

Tuttavia le società svizzere hanno storicamente mostrato una straordinaria capacità di recuperare in tempi brevi i propri margini di redditività grazie in particolare a miglioramenti di produttività. «Se ad esempio guardiamo il grafico dell’azione Nestlé negli ultimi 15 anni, vediamo che il franco si è fortemente rivalutato ma il titolo ha comunque performato benissimo: gli investitori euro- pei che hanno comprato Nestlé hanno ben guadagnato non solo sul ti- tolo azionario ma anche sul cambio», fa notare Carcano. «A nostro giudizio an- che questa volta, al di là degli effetti che vedremo sui bilanci di quest’anno, già dal 2016 la situazione si normalizzerà».

Quotazioni franco svizzero 2015

Partendo dal presupposto che il franco svizzero si attesterà tra 1 e 1,05 nei prossimi mesi contro euro, «riteniamo quindi che il mercato azionario svizzero rappresenti un’opportunità di acquisto alla luce della recente correzione», con- clude Carcano. «Privilegiamo le società di qualità, a grande capitalizzazione, che posseggono liquidità e pagano dividendi elevati; soprattutto queste ultime possono sfruttare la forza del franco per avvia- re operazioni di M&A, in particolare negli Stati Uniti, e quindi consolida- re la propria posizione competitiva. Gli alti dividendi rappresentano un’assicu- razione per gli investitori, soprattutto in un contesto di rendimenti del compar- to obbligazionario negativi o comunque particolarmente contenuti. Fra i titoli che consiglierei cito Roche, Nestlé, Holcim e Lonza»

Attenzione: se hai banconote o un conto in franchi svizzeri devi dichiarare in guadagni ottenuti con il cambio. Leggi qui come dichiarare guadagni in franchi svizzeri.

giovedì 19 marzo 2015

Tornare a puntare sul dollaro dopo QE

Ripartono le scommesse sul dollaro I listini europei proseguono la corsa. Attese per un ritorno dell’euro oltre 1,14 La scorsa settimana i mercati europei hanno proseguito il rialzo, senza disturbo dalle ostilità tra Unione europea e Atene, per il momento appianate; le azioni dell’Eurostoxx hanno così raggiunto un saldo del 14% da inizio anno e le quotazioni dei titoli di Stato sforano continuamente i massimi storici.

La tensione si è sciolta ancora di più quando la Banca Centrale Europea si è detta pronta a riaccettare i titoli di debito greci a garanzia dei prestiti. Inoltre, il 5 marzo prenderà avvio il “Quantitative Easing” della Bce, che consiste nella stampa di 60 miliardi di euro al mese a fronte dell’acquisto di obbligazioni; l’occasione è un’opportunità di guadagno sul rincaro delle emissioni che rientreranno nell’operazione, scelte in proporzione al peso dei Paesi nel capitale dell’autorità monetaria. Per questo motivo il rendimento del Bund tedesco decennale a scadenza, schiacciato dal prezzo, è diminuito sotto lo 0,3%; quello del BTp a 1,35%.

Alla bonanza nel Vecchio Continente, si è unita la dichiarazione di Janet Yellen, presidente della Federal Reserve, ritenuta abbastanza accomodante dagli investitori: la Fed alzerà i tassi quando i dati macro (soprattutto la crescita dei salari), richiederanno una politica monetaria più ferma e dopo aver sostituito la parola “flessibilità” a “pazienza” nelle linee guida adottate dal comitato che prende le decisioni. Dunque, non prima dell’estate, con tutta probabilità. In mancanza di un imminente stretta sui tassi, il dollaro non si è mosso e i Treasury sono risultati meno appetibili solo sulle durate biennali, mentre le emissioni a tre mesi hanno addirittura attratto più consensi.

Giovedì, però, l’industria Usa ha dato segni evidenti di vitalità con il rimbalzo di ordini di beni durevoli e l’inflazione americana sui beni principali (che esclude l’effetto deprimente del ribasso del petrolio) si è mostrata tonica: all’1,6% su base annua e a +0,2% (da +0,1%) a gennaio. In realtà, il carovita non ha cambiato ritmo, ma non si vede neppure il contagio della disinflazione europea temuto dalla Fed. Motivo in più per ripartire con le scommesse sul rafforzamento del dollaro e prendere beneficio dal ritorno dell’euro sopra quota 1,14. Giovedì la moneta unica ha ceduto valore sotto 1,12 contro il biglietto verde.

lunedì 16 marzo 2015

A quando il cambio euro dollaro a 1?

Adesso, con l’euro scivolato in due sedute a 1,10 sul dollaro, ossia a livelli che gran parte degli economisti preconizzavano per fine 2015, sarà interessante vedere quali nuove previsioni sforneranno gli esperti. Conoscendo l’attitudine degli operatori a piegare la loro visione del futuro alla tirannia del presente (il mercato), non stupirebbe vedere nuovi obiettivi di prezzo a 1, ossia la parità già per i prossimi mesi: con gran soddisfazione di Goldman Sachs, che quel livello per prima aveva additato, sebbene per fine 2016. Non è detto che l’euro non possa scivolare ancora di qualche punto: perché i mercati sono soliti esasperare le tendenze o perché, come ha fatto notare lo strategist di SocGén, gli operatori cercano «disperatamente» di portare l’euro sotto 1,1 per far scattare ancora più pesanti vendite da chi ha scommesso con le opzioni.

Ciò nonostante, ci sono buone probabilità che la valuta comune possa risalire e trovarsi sopra 1,1 per fine anno. Nella seduta di ieri, è stato l’euro a indebolirsi e non il dollaro a rafforzarsi. E che differenza fa? Fa differenza, perché ieri si sono venduti euro non appena Mario Draghi ha fatto capire che non acquisterà titoli con rendimenti negativi sotto la soglia del -0,20% (pari al tasso sui depositi): nella fattispecie Bund a 2 e 3 anni, il cui rendimento, non a caso, è risalito di qualche punto oltre quella soglia. Siccome quel movimento era iniziato 6 giorni fa, si può immaginare che qualcosa fosse trapelato da Francoforte.

Non si può dire invece che il dollaro sia stato acquistato con la stessa veemenza con cui s’è venduto l’euro: perché la valuta americana s’è mossa di poco sullo yen e soprattutto perché, dalla prima mattinata a pomeriggio già inoltrato, dunque ben dopo le parole di Draghi, lo yen s’è mosso in controtendenza con l’euro. Chi opera sulle valute scommette, da un lato, che l’euro s’indebolisca per effetto del quantitative easing della Bce e, dall’altro, che il dollaro si rafforzi perché la Fed alzerà i tassi d’interesse in estate o poco dopo. Il primo fattore è incontestabile, sebbene vada notato che gli effetti dei Qe su tassi e valute si manifestano prima dell’avvio ufficiale dell’operazione (lunedì) per una sorta di “naturale” front running, ossia l’opportunità di precedere l’intervento della banca centrale.

Il secondo è invece molto incerto, perché non è detto che la Fed decida d’invertire rotta alla politica monetaria, in controtendenza con il resto del mondo e con un dollaro che, apprezzatosi del 22% dai minimi di 10 mesi fa, sta creando serie difficoltà alle aziende americane.

Fra due settimane, alla prossima riunione del Fomc, capiremo forse qualcosa di più. Intanto vale la pena di notare come il discorso di Draghi sia stato particolarmente apprezzato dai mercati che, oltre a scommettere contro la valuta, puntano al rialzo dei titoli di Stato dei Paesi periferici. Non a caso, ieri, euro da un lato e i rendimenti di Btp, Bonos e titoli portoghesi dall’altro, si sono mossi in perfetta sintonia. Il messaggio della Bce, nel porre un limite all’acquisto di titoli con rendimento negativo, è suonato a incoraggiamento dell’euro dei “poveri” .

Se vuoi operare sul cambio Eur-Usd, ti consigliamo il broker ETX. Si tratta del maggior intermediario Forex inglese (autorizzato ad operare in Italia) che applica il miglior spread che tu possa trovare in Europa sulla coppia euro-dollaro.

mercoledì 11 marzo 2015

Speculare su corona svedese e danese

Dopo che il mese scorso la Banca centrale svizzera ha abbandonato la valuta rossocrociata alla mercé dei mercati rinunciando al rapporto fisso di 1,2 franchi per un euro, gli speculatori si sono mossi alla ricerca di altri cambi fissi (o presunti tali) da scardinare. Il gioco è lo stesso che fece fare quattrini a George Soros nel 1992 quando saltarono la sterlina e la lira: scommettere che una Banca centrale si dichiari sconfitta e cali le brache. I cambi oggetto delle nuove scommesse sono quelli di corona danese e corona svedese con l’euro.

La prima è legata alla moneta unica da accordi internazionali. La seconda no (in teoria potrebbe andare dove vuole), ma visti i legami commerciali tra Svezia e Eurozona, viene artificialmente tenuta ancorata all’euro. E, infatti, a riprova di questo, la scorsa settimana anche la Riksbank, la Banca centrale svedese, ha deciso di acquistare titoli di Stato come la cugina guidata da Draghi per abbassare i tassi, rendere meno appetibile la corona e tenerla, così, più facilmente agganciata all’euro che affonda.
C’è chi mi chiede: che faccio coi miei bond svedesi dopo la decisione della Riksbank? Rispondo: non disfartene. Restano nei nostri portafogli. Non penso che la speculazione l’avrà vinta e, se anche così fosse, tu avresti da guadagnarne visto la tendenza dell’euro ad affondare e della corona a primeggiare. In secondo luogo la Svezia è pur sempre un Paese col blasone della tripla A. In tempi di bizze greche e guerriglie ucraine, son cose cui dare un giusto peso. Una quota di bond svedesi in portafoglio ha più che mai il suo perché: trai l’assicurazione che, se dovesse succedere qualcosa, un grande imprevisto, avresti comunque un riparo.

Visto quanto detto sopra i titoli in corone svedesi come Bei 2,75 % 13/11/23, Kingdom of Sweden 1,5 % 13/11/23 e Kingdom of Sweden 2,5 % 12/05/25 passano a mantenere. Per investire nella corona preferisci il fondo Nordea 1 swedish bond BP (295,61 corone svedesi) che, con una gestione attiva degli investimenti, meglio dovrebbe destreggiarsi tra gli alti e bassi dei tassi svedesi.

Scenario di investimento

La corona svedese perde terreno sull’euro Anche la Svezia ha ceduto alla moda dei tassi sottozero - oggi sono a -0,1 % - per mantenere la corona agganciata all’euro che promette di sprofondare. Il taglio dei tassi ha fatto scendere la corona svedese che ha perso, in un solo giorno, più dell’1,8 % sull’euro, passando da 9,46 corone per 1 euro di mercoledì scorso a 9,63 corone per 1 euro di giovedì, per chiudere la settimana a 9,589 corone per 1 euro (-1,14 % rispetto a sette giorni fa).

I prezzi dei bond svedesi sul mercato sono saliti e i loro rendimenti si sono ridotti (-12,3 %). Oggi un titolo di Stato svedese a 10 anni dà circa lo 0,4 % lordo annuo, lo 0,05 % al netto di tasse e spese di acquisto dello 0,5 %, un rendimento troppo risicato per consigliartene ancora l’acquisto. Meglio comprare un bond in dollari Usa, che ha rendimenti più elevati (2 % il titolo di Stato a 10 anni). Da questa settimana mantieni i bond svedesi che hai in portafoglio, ma non acquistarne più. Non è però il caso di venderli: la corona svedese resta un parcheggio sicuro per difendere i tuoi risparmi. La Grecia non è ancora “salva” e un altro fallimento della Repubblica ellenica potrebbe avere conseguenze negative sul futuro dell’euro.

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lunedì 9 marzo 2015

Forex, come investire sull’euro nel 2015

euroL’euro,  la nostra valuta di riferimento, sta attraversando una fase di debolezza alla vigilia del lancio del quantitative easing da parte della Bce: da maggio a oggi la moneta unica si è deprezzata del 20% rispetto al dollaro.
Ecco come muoversi con i propri investimenti in tre differenti scenari.

venerdì 6 marzo 2015

Truffe Forex e opzioni binarie. Come evitarle

Sono tante le società che su internet ti propongono guadagni stellari col forex o con le opzioni binarie o con i cfd. Ci hai chiesto di che si tratta, chi c’è dietro e se i guadagni sono reali. Ecco tutte le risposte.

Prodotti ad alto rischio

Diciamolo subito: investire in cfd, forex o opzioni binarie è a rischio altissimo. Se imbrocchi la scommessa, puoi anche guadagnare tanto, ma se va male puoi perdere tutto – sì, tutto – anche in pochi minuti. Per capire bene facciamo un esempio col forex, che ti permette di puntare sull’andamento delle valute.

Supponiamo che tu voglia scommettere 10.000 euro sul rafforzamento del dollaro sull’euro. Chi offre questi servizi ti dice: benissimo, vuoi investire 10.000 euro, ma per ora versane solo una parte, per esempio il 5 %, quindi 500 euro. Poi si vede come va. Se il dollaro si apprezza del 2,5 %, il guadagno non viene rapportato ai 500 euro scuciti, ma ai 10.000 euro iniziali: tu guadagni, quindi, 250 euro (il 2,5 % di 10.000 euro), che sui 500 euro effettivamente investiti fa un guadagno del 50 %! Bellissimo, ma se va male? Funziona anche al contrario: se l’euro si apprezza del 2,5 % – e può succedere anche in un giorno – tu perdi il 50 %.

Potresti dire: ma io aspetto e recupero. No! Qui sta l’inghippo: di solito con il forex non hai il tempo di aspettare. Le tue perdite, infatti, sono calcolate in ogni istante e se diventano rilevanti, per esempio il 70 %, la società ti chiede di ripianarle – occhio a non autorizzare addebiti diretti in carta di credito o conto corrente! Se non ripiani sei sbattuto fuori dal mercato, consolidando il rosso. Se ripiani devi scucire nuovo denaro con il rischio di entrare in un circolo vizioso.

I cfd hanno lo stesso meccanismo del forex, ma sono legati di solito a titoli azionari, mentre le opzioni binarie sono vere e proprie scommesse: ti dicono “se il dollaro entro questa data si apprezza di un tot guadagni il 70 %, se no perdi tutto”. Una vera roulette russa. Si fanno male in tanti In questo momento starai forse pensando: ma io riesco a controllare minuto per minuto la mia posizione e sono in grado di correre questi rischi e di azzeccare la direzione del mercato.

Non ti illudere: con questi prodotti, che sono i famosi derivati, persino i professionisti sono falliti – pensa ai fondi speculativi saltati a gennaio in seguito al forte apprezzamento del franco svizzero sull’euro. Inoltre, uno studio condotto dall’autorità di vigilanza dei mercati francesi ha rilevato che su 15.000 piccoli risparmiatori che hanno fatto trading in forex o cfd, circa il 90 % ha perso tutto quello che ha investito (tutto, il 100 %).

E non stiamo parlando di piccole scommessine: parliamo di una media di 10.000 euro di perdite per risparmiatore. occhio alle truffe Pensi ancora dopo questi dati di potercela comunque fare? Beh, sappi che c’è anche chi ha imbroccato le scommesse ma non è riuscito comunque a ottenere indietro i suoi soldi. Sono coloro che sono stati adescati in buona fede da società “truffaldine” –e in questo mondo di forex, cfd e opzioni binarie ce ne sono molte – che si mascherano per società serie.
E non è facile riconoscerle, anche perché i loro siti internet sono spesso ben fatti e utilizzano riferimenti a società legittime (per esempio la grafica è simile, il nome cambia di una virgola, i loghi sono gli stessi…).

Occhi aperti, dunque. E sappi che anche se ti affidi a società serie e regolarmente autorizzate qualche rischio comunque potrebbe esserci: Alpari Uk era una importante piattaforma di forex in Inghilterra (sponsorizzava il West Ham di calcio) che a seguito dell’oscillazione violenta del franco svizzero è andata in crisi di liquidità ed è fallita nel giro di un giorno. Certo, i soldi dei clienti sono separati da quelli dell’intermediario e dovrebbero tornare indietro. Ma ci vorrà del tempo. Tanto. Uomo avvisato…

Al momento operiamo e consigliamo due broker forex inglesi affidabili e autorizzati (e che hanno dimostrato di uscire indenni dalle ripercussioni sul franco svizzero che hanno portato al fallimento altri operatori quali Alpari o Fxcm):
  1. Markets
  2. Etx

mercoledì 25 febbraio 2015

Guerra delle valute. Come investire sul Forex nel 2015

C’era una volta la guerra delle valute. Adesso che il calo di euro e yen spinge al rialzo il dollaro e il franco, nessuno la dichiara. Ma di fatto è ricominciata.

In principio era la Cina. Nella prima metà del decennio passato, le autorità di Pechino erano accusate, soprattutto dagli Usa, di tenere artificialmente basso, con interventi sui mercati, il valore della propria moneta, in una strategia di crescita basata sull’export a buon mercato. Nel 2005, la Cina ha abbandonato l’aggancio al dollaro per lasciare rivalutare, molto lentamente, il cambio. Le accuse degli Stati Uniti, impazienti per il gradualismo eccessivo della Cina, sono riaffiorate qualche anno dopo, anche se Washington ha sempre evitato di dichiarare Pechino un “manipolatore” del cambio, etichetta che avrebbe provocato ritorsioni commerciali.

L’espressione “guerra delle valute” ha fatto irruzione nel lessico della diplomazia economica solo nel 2010, con gli Usa questa volta nella parte dell’accusato. Il suo ideatore è l’allora ministro delle Finanze brasiliano, Guido Mantega, secondo cui la riduzione a zero dei tassi d’interesse americani e la imponente immissione di liquidità, il cosiddetto “quantitative easing” (Qe), da parte della banca centrale americana (Federal Reserve), per contrastare la recessione, avevano come effetto indiretto la svalutazione del dollaro. Questa provocava un massiccio afflusso di capitali verso i Paesi emergenti, Brasile compreso, facendone salire il cambio e rendendone meno competitive le merci. In altri tempi si sarebbe definita un “svalutazione competitiva”, ma la più colorita espressione di “guerra delle valute” fece ben presto breccia nella discussione.

Anche se nel corso del 2011 la guerra si era placata, il Brasile ha continuato a dichiararsene vittima. Salvo poi lamentarsi, per la ragione opposta, quando, nel giugno del 2013, la Fed ha annunciato che avrebbe progressivamente ridotto lo stimolo monetario, provocando questa volta un deflusso di capitali dagli emergenti. La questione è finita sul tavolo del G-20, che riunisce i grandi Paesi industriali e le maggiori economie emergenti e che ha elaborato una formula per mettere fine alla guerra delle valute, pur senza citarla esplicitamente: le autorità dei singoli Paesi possono adottare politiche monetarie espansive con l’obiettivo di rilanciare le proprie economie, ma non possono dichiarare apertamente di volerlo fare con la svalutazione del cambio. Si fa, ma non si dice.

Avendo sottoscritto la dichiarazione del G-20, tutti i Paesi vogliono evitare di trovarsi sul banco degli imputati per aver rinfocolato i contrasti sui cambi. E così nell’ultimo anno è in corso una sorta di guerra non dichiarata. Il Giappone e l’area dell’euro, le due regioni dell’economia mondiale dove la crescita stenta di più a ripartire e che sono a rischio di deflazione, hanno adottato, in forme diverse, misure di stimolo monetario che hanno l’effetto di rendere le loro valute meno appetibili e, con la svalutazione del cambio, aiutare la ripresa. La controparte di questi movimenti è il dollaro, che stavolta è la moneta che si apprezza di più, anche perché, con la ripresa Usa già avviata, la Fed muove nella direzione opposta.

Con la divisa Usa, sale il franco svizzero, che, in tempi di grande instabilità, attrae capitali in cerca di un rifugio sicuro. Per ora, fra il dollaro da una parte e l’euro e lo yen dall’altra, nessuno ha ancora parlato di una guerra in corso, ma le multinazionali americane, i cui profitti subiscono gli effetti del dollaro forte, hanno cominciato a esprimere malumore. Non passerà molto tempo prima che qualcuno proclami una nuova guerra delle valute.

Fonte: guide Markets

lunedì 23 febbraio 2015

Ig Markets apre il trading Forex alla domenica

Ig, intermediario online inglese operativo anche in Italia, ha aperto al trading domenicale. Tre i nuovi contratti: il Sunday Ftse, il Sunday Germany 30 (Dax) e il Sunday Wall Street (Dow Jones). Le operazioni attive nella settimana rimarranno inalterate e non potranno essere chiuse la domenica, ma si potranno aprire ulteriori contratti per compensare i rischi o aumentare la posizione su uno di essi.

Così, se si ha in carico una posizione rialzista sull’indice inglese Ftse dal venerdì e si vuole immunizzare la posizione è possibile aprire la domenica uno short sul corrispondente contratto Sunday. Ovviamente chi non ha posizioni su quel sottostante può liberamente costruire strategie la domenica. Il trading domenicale sarà possibile dalle 8 alle 22:40. Le posizioni ancora aperte dopo la chiusura domenicale saranno traslate sui contratti ordinari il lunedì senza alcun costo e apriranno secondo gli orari di listino.

Oltre ai contratti indicati si potrà subito fare trading sulle opzioni digitali e sul bitcoin, molto volatili. Eventuali critiche di eccesso di operatività vengono però respinte al mittente. «Scopo principale di questa iniziativa», fanno sapere da Ig, «è consentire al trader di immunizzare le posizioni in occasione di particolari eventi che si verificano nel weekend». Il broker guidato in Italia da Alessandro Capuano è poi un broker globale con clienti di fedi religiose diverse, quindi non sempre il giorno di festa cade di domenica. Il broker infine si sta espandendo in Medio Oriente, per questo i listini aperti saranno quelli di questa area geografica.

Si tratta di Stati islamici con un’operatività ordinaria proprio la domenica. Il trading sarà possibile su indice e azioni, per tutti i clienti. Per le borse del Medio Oriente aperte la domenica può essere utile a questo proposito ricordare quelle più liquide. A svettare è la borsa di Riad (Arabia Saudita) che vale un quarto della piazza tedesca e circa la metà di Piazza Affari. La seconda borsa in ordine di grandezza è quella israeliana, che vale la metà di quella di Riad, e a seguire la piazza del Qatar, che vanta però il primato nell’area del Golfo. Diversamente da quanto ci si potrebbe aspettare le borse di Dubai e di Abu Dhabi sono più piccole poiché valgono solo il 20% di quella di Riad, e lo stesso vale per la borsa del Kuwait. Decisamente più piccola è la piazza egiziana, l’ultima a poter vantare una certa consistenza, mentre le rimanenti, tipo quella di Amman (Giordania) e quella palestinese, non superano lo 0,5% delle più grandi appena citate.

Più in là, è previsto l’avvio del forex domenicale. Tornando sulla decisione di aprire la domenica, non è raro che proprio questo giorno o nel weekend si verificano eventi in grado di cambiare o innescare importanti trend di mercato.

Tutti gli appuntamenti elettorali, per esempio, si verificano proprio nel fine settimana. La decisione di partire da subito è stata presa infatti proprio a inizio 2015 per anticipare una serie di scadenze elettorali previste nell’anno. Le più importanti sono quelle turche di sabato 13 giugno, quelle portoghesi del 27 settembre e infine quelle spagnole del 20 dicembre, anticipate da elezioni amministrative nel Paese iberico a maggio. Tutti ricorderanno, poi, l’impatto sui mercati delle elezioni greche tenute a gennaio, il referendum per l’indipendenza a scozzese del 18 settembre del 2014 e i suoi effetti sulla sterlina e da ultimo la consultazione popolare in Svizzera sulle riserve auree a fine novembre. Tutto successo di domenica.

Gli operatori in questi casi hanno le mani legate e non potevano fin qui intervenire. «I più attenti alle questioni tecniche avranno notato », aggiunge Capuano, «che sono stati introdotti contratti ad hoc per la domenica». L’innovazione consente da un lato di mettere al riparo chi ha posizioni già aperte sui contratti dalle oscillazioni potenziali della domenica. Se si ha una posizione aperta lunga in settimana sul Ftse 100 e il mercato scende in modo significativo, non scatteranno stop loss. Chi vuole coprirsi, però, perché immagina che la tendenza in corso sia destinata a proseguire può farlo. Ig ha poi consentito una terza possibilità: consentire il roll over delle posizioni aperte la domenica sui contratti ordinari che ripartono il lunedì. Nella sostanza evidenzia Ig, «il modello è stato reso il più flessibile possibile ». Il lancio su larga scala del trading domenicale partirà a breve. «I primi risultati sono molto confortanti», spiega Capuano.

La mossa di Ig ha anche una valenza informativa. «Chi vuole essere aggiornato sulla dinamica dei mercati nel weekend», ha commentato Capuano, «oggi deve necessariamente consultare l’informativa e le quotazioni sul sito di Ig». Tornando ai singoli contratti proposti i margini saranno analoghi a quelli dei contratti ordinari, quindi l’indice Sunday Germany 30 potrà essere negoziato con 700 euro di margine per la versione standard e 140 per quella mini. Il Sunday Wall Street girerà a 500 dollari (441 euro) per lo versione ordinaria e 100 (88 euro) per la mini mentre il Ftse 100 infine ha margini pari a 230 sterline (309 euro) per la maxi e 46 per la mini 61 euro. Quanto alle commissioni di negoziazione, come da prassi di Ig non ci saranno mentre gli spread proposti saranno di 7 punti di indice sul Germany 30 e Wall Street e di 5,8 sul Sunday Ftse 100.

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mercoledì 18 febbraio 2015

Previsioni euro-dollaro marzo aprile 2015

previsioni euro dollaro 2015Ci ha pensato il Non Farm Payroll americano a raffreddare gli istinti di rimbalzo dell’euro-dollaro. Il dato macro che calcola la variazione degli occupati nel settore non-agricolo (pubblicato ogni primo venerdì del mese) ha evidenziato una crescita al di sopra del consensus attestando un incremento di 257 mila unità, contro delle previsioni che davano un aumento di sole 230 mila unità.

Il tasso di disoccupazione invece è cresciuto rispetto al mese precedente (quando si era attestato al minimo da giugno 2008), salendo dal 5,6 al 5,7%.

La retribuzione media oraria, sempre a gennaio, è salita di 0,12 dollari a 24,75 dollari. L’impatto sull’euro/dollaro è stato decisamente importante e nell’arco di pochi secondi, il cambio, ha perso circa una figura di valore passando da 1,1450 a 1,1352 dollari. Il movimento è stato talmente violento che si sono venuti a creare dei vuoti di prezzo all’interno dei book. Il movimento ribassista del cambio è continuato poi per il resto della seduta andando a chiudere la settimana di contrattazione a ridosso di 1,1330 dollari. Tecnicamente, per le prossime sedute potrebbe registrarsi un ulteriore flessione del cambio, fino a raggiungere il minimo di 1,1260 dollari che rappresenta un soglia di supporto molto importante. I deboli dati macroeconomici pubblicati in settimana avevano creato delle attese negative. Invece il governo americano è riuscito a creare per il dodicesimo mese consecutivo oltre 200 mila impieghi.

La Federal Reserve monitorerà ancora i fondamentali, ma le attese di un rinvio a settembre 2015 di un rialzo del costo del denaro sono diminuite notevolmente. Il market mover che riuscirà a muovere l’euro/dollaro dalla lateralità che ha contraddistinto gli ultimi dieci giorni è, e rimane, la situazione Grecia. Il paese ellenico, come ben noto, si trova di fronte in grave difficoltà finanziaria e se il suo primo ministro Tsipras non troverà velocemente un accordo con i creditori, l’insolvenza è oramai alle porte. La Grecia ha infatti i mezzi per far fronte al debito di 1,9 miliardi di euro che il 15 marzo dovrà ripagare al Fondo Monetario Internazionale. Stessa condizione anche per gli 1,9 miliardi con scadenza 15 giugno che dovrà ridare sempre al Fmi.

Sarà invece tecnicamente in default con la rata da 3,5 miliardi di euro del 20 luglio per la quale, ad oggi, non ha i mezzi per farvi fronte. Molti, i mezzi diplomatici, messi in campo ufficialmente e non ufficialmente per cercare di fare pressione sulla politica dell’austerity della parte intransigente dei partner europei, con lo scopo di dare il via libera a una rinegoziazione del debito.

Alcuni analisti hanno offerto una chiave di lettura diversa sulla decisione della Bce di chiudere i rubinetti alla Grecia. L’istituto monetario infatti, dal prossimo 11 febbraio, non accetterà più come collaterale di garanzia i titoli di stato della Grecia, in quanto il loro rating è investment grade, inferiore a quello minimo richiesto per queste operazioni. Questa mossa però più che mettere con le spalle al muro la Grecia, mette alle strette i falchi dell’eurozona che si trovano ad un soffio dal perdere un membro dell’unione monetaria.

E uscito un Paese, chi può dire che non ce ne siano altri che lo seguono a ruota? Tutte queste incognite non fanno certo bene alla stabilità della moneta unica. Per le prossime settimane è attesa una forte volatilità sul cambio e nel caso la situazione geopolitica peggiorasse è utile ricordare che gli operatori non hanno assolutamente dimenticato il target ribassista di 1,10 e soprattutto quello di 1,08 dollari. La maggior parte dei trader sui cambi, dopo il forte calo dell’euro/dollaro degli ultimi due mesi, non ha osato shortare la major, tuttavia sono tutti alla finestra pronti a cavalcare una nuova ondata ribassista. Il caso Svizzera ha insegnato però che fattori esogeni possono sempre intervenire e dunque non è detto che per mitigare la tensione per un eventuale uscita dall’0euro della Grecia non arrivi una mossa a sorpresa da parte del presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, ultimo guardiano della moneta unica.

Attenzione: il caso Svizzera ha insegnato, purtroppo con grosse perdite per i traders, che non basta più un broker forex autorizzato. Occorre che sia anche affidabile ed offra il margin call per evitare perdite disastrose. Apri un conto demo Markets

lunedì 16 febbraio 2015

Previsioni forex con il quantitative easing BCE

Se l’asset class azionaria continua a vivere di luce riflessa in merito alle decisioni sul Qe di Eurolandia, un altro sottostante che trae direttamente forza (o debolezza) da tale aspetto è il mercato valutario. I cambi stanno esprimendo movimenti interessanti da cavalcare, esulando dall’infelice scelta della Snb che ha portato scompiglio sul franco svizzero.

Alcuni cross sia di divise major che di cambi emergenti o secondari evidenziano conformazioni grafiche o tendenze di fondo che possono essere sfruttati, per aver beneficio in termini di diversificazione di portafoglio. Basti pensare che nel corso del 2014 una posizione sull’azionario europeo avrebbe reso ben poco come performance complessiva, mentre un fondo monetario in dollari sarebbe riuscito a generare rendimenti molto consistenti. Tutto non è perduto però, per chi non si fosse fidato di tale driver.

Il rafforzamento del dollaro Usa è generalizzato, a partire per esempio dal rapporto rispetto al dollaro australiano, neozelandese e canadese. Il cross dollaro australiano /dollaro Usa ha evidenziato in settimana la conferma del cedimento dei minimi del 2010, da cui si è subito innescata una decisa accelerazione. Attualmente la migliore occasione per rientrare sarebbe rappresentata da un pull back verso 0,805 dollari, ma non affatto detto che il mercato lo conceda; target per chi non ha fretta verso 0,73-0,735 dollari.

Più speculativa l’accelerazione del cross dollaro Usa/ dollaro canadese, con il dollaro canadese in avvitamento. Il target naturale per la dinamica in atto sembra collocarsi sui massimi del 2009, in prossimità di 1,30 dollari. Mentre per il dollaro neozelandese si osserva un indebolimento meno marcato, ma che presenta interessanti configurazioni grafiche. Il test dei massimi relativi degli ultimi quattro anni è evidente, e oltre 1,40 dollari si può ipotizzare un allungo verso 1,45 dollari prima e 1,50-1,52 dollari successivamente.

Le valute emergenti lira turca e rand sudafricano evidenziano a loro volta criticità rispetto al dollaro Usa. Nel primo caos il test verso 2,40 lire dovrebbe attirare nuovi acquisti, con obiettivo teorico verso 2,60 lire entro l’estate. Mentre il rand sta testando i massimi del 2008 e potrebbe presto dare un ulteriore segnale in caso di superamento di 11,80 rand. In tal caso, obiettivo in area 12,4- 12,5 rand. Passando al contesto europeo, tra i cambi meglio impostati si evidenziano tuttora il dollaro-euro e euro-sterlina.

Le aspettative di Goldman Sachs che stima a 12 mesi un eurodollaro a 1,08 sono coerenti rispetto alla struttura tecnica del sottostante. È quindi vero che il grosso del margine speculativo legato all’uscita dal Qe da parte degli Usa e all’avvio da parte dell’area euro possa essersi già espresso, ma il trend rimane evidentemente al ribasso. Ci si potrebbe quindi attendere una inclinazione della discesa meno marcata rispetto a quanto osservato dall’estate 2014 ad oggi, ma in caso di rimbalzo verso 1,15-1,16 vale la pena giocarsi nuovamente la carta dello short euro.

Molto chiaro altresì il trend della sterlina inglese rispetto alla divisa europea, confermata dal recente cedimento di quota 0,77. Primo target ribassista già raggiunto ma sul medio periodo si può puntare ad una discesa sino ai minimi del 2007, in area 0,715-0,72 sterline. Tra i cross minori si segnala infine il cambio euro-lira turca. Nonostante la recente limatura dei tassi da parte della banca centrale (7,75% attualmente) il trend rimane leggermente a favore della lira. Il livello più interessante per prendere nuovamente posizione si colloca in area 2,82- 2,85 lire, mentre lo spike di volatilità osservato a metà dicembre sembra essersi esaurito.

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lunedì 2 febbraio 2015

Previsioni 2015 su lira turca con petrolio al minimo

Perchè il calo del greggio aiuterà la lira turca
Il decennale governativo paga il 7,19% , la valuta è ritenuta sopravvalutata Inflazione sotto controllo No mancano i rischi Il governativo decennale turco rende il 7,19% un rendimento interessante per i riasparmiatori ma occorre guardare all'inflazione e al rischio cambio per evitare spiacevoli sorprese a fine dell'operazione. Nel 2014 la lira turca, come molte altre valute emergenti e non, si è deprezzata verso il dollaro (-10,1%) chiudendo l'anno a 2,33 lire turche contro dollaro. La stessa tuttavia si è leggermente apprezzata nei confronti dell'euro (+ 2% a 2,82 lire turche contro l'euro).

Quest'anno però c'è un elemento in più da tenere sotto osservazione: in prospettiva, la marcata discesa del prezzo del petrolio potrebbe determinare un sostanziale riduzione del disavanzo corrente e favorire il contenimento delle pressioni inflazionistiche, offrendo così un supporto al cambio che dovrebbe rafforzarsi. Tutto bene, dunque? Non proprio. Il rischio valutario tuttavia permane, considerando che la valuta è ampiamente sopravalutata, anche se oggi appare minore nel breve-medio periodo.

L'Fmi, nel rapporto 2014 sul paese sul Bosforo, ha evidenziato, con riferimento al valore del cambio reale effettivo nel 1° trimestre 2014 (102) un condizione di sopravalutazione dello stesso compresa tra il 10 ed il 20%. Il successivo apprezzamento del cambio reale effettivo (8%) ha accentuato questa condizione di sopravvalutazione.

« L'inflazione della Turchia sta calando rapidamente grazie ad un rallentamento piuttosto ampio dell'aumento dei prezzi e non solo per il calo del prezzo del petrolio a livello internazionale e dei prezzi del settore alimentare a livello locale. Per la prima volta dopo tanto tempo, il tasso di riferimento reale è positivo seppur marginalmente. Le previsioni danno un calo ulteriore dell'inflazione nei prossimi mesi, alimentando così le attese sui tagli dei tassi di riferimento ufficiali», conferma anche Nordea Asset Management.

«Se l'inflazione scende in modo significativo, anche grazie al calo del petrolio, la Banca centrale turca taglierà i tassi di interesse fino a 100 punti base entro la metà del 2015. Comunque sono arrivati 1,6 miliardi di dollari di investimenti stranieri verso i bond turchi alla fine del terzo trimestre 2014. Io suggerisco il bond con scadenza 14 settembre 2022 con un rendimento dell'8.50%», afferma Martin Rea, di UniCredit Research. «L'inflazione a dicembre 2014 era al di sotto del consenso al 8,17% su base annua e ci aspettiamo - prosegue Rea - che continui a scendere al 6, 6 % entro la fine del primo trimestre 2015».

Insomma come ricorda in una nota Mps Capital Service il calo del prezzo del petrolio provocherà «l'apprezzamento delle valute dei paesi importatori di petrolio ( rupia indiana e appunto lira turca) contro il deprezzamento della valute dei paesi produttori ( rublo, corona norvegese)». La regola forse è un po' rozza perché non tiene conto del calo dei possibili tassi di interesse ma alla fine può essere considerata una buona linea di orientamento da seguire in vista di un investimento verso i mercati emergenti.

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