sabato 16 giugno 2018

Euro - dollaro. Previsioni per l'estate 2018

La moneta unica resta sotto pressione. Un calo vistoso nei confronti del dollaro che ha preso il via nella seconda metà di aprile e che si è acuito nelle ultime sedute per effetto della crisi finanziaria italiana. In poche settimane la divisa del Vecchio Continente è precipitata da 1,25 contro dollaro a 1,15: un calo verticale senza rimbalzi particolarmente significativi. Il cross euro-dollaro è il principale cambio a livello mondiale e da solo rappresenta oltre il 20% degli scambi. Essendo il mercato più liquido al mondo registra solitamente movimenti abbastanza contenuti. Quanto avvenuto in un lasso di tempo ristretto, è un vero cambio di paradigma sul mercato valutario. Per oltre un anno l’euro è stato protagonista grazie a un rally partito nell’aprile del 2017 sull’onda della vittoria di Macron alle presidenziali francesi.

 Da aprile 2018 qualcosa si è rotto: i segnali congiunturali del Vecchio Continente hanno cominciato a indebolirsi, il mercato è tornato a prezzare il differenziale dei tassi nettamente a favore degli Usa (che continuano a crescere in termini di Pil in maniera vistosa) e, infine, la crisi politica italiana ha spinto le quotazioni in un’area di forte ipervenduto. Graficamente la discesa è arrivata a testare un’area chiave, quella di 1,15 dove un rimbalzo è da mettere in conto. In quest’area transita una importante trend line proiettata che unisce minimi realizzati nei primi mesi del 2017 e, soprattutto, siamo al test dei livelli della correzione dello scorso novembre.

Una rottura di 1,15 rischierebbe di far precipitare la moneta unica verso la parità contro dollaro. Difficile ipotizzare dove possa arrivare questo rimbalzo. Tecnicamente un target molto importante è dato dall’area tra 1,19 e 1,20 anche per la valenza psicologica. Intorno a questi livelli transita anche la media a 200 nelle ultime settimane. Già il raggiungimento di questo obiettivo sarebbe significativo, difficile ipotizzare oltre per un mercato che sembra essere tornato in mano al dollaro (il dollar index è balzato oltre 94).

mercoledì 13 giugno 2018

Oro in calo. Quanto durerà?

Il metallo giallo è sceso del 5% da quando i mercati ballano È considerato il bene rifugio per eccellenza. Eppure, durante le ultime burrasche sui mercati, a partire da quelle scatenate dalla guerra dei dazi, il metallo giallo ha abdicato alla sua funzione. La quotazione, a dispetto dell’avversione la rischio degli investitori, ha perso il 5% nell’ultimo mese e ha lasciato i massimi dell’anno sopra 1.350 dollari per oncia proprio quando i mercati azionari hanno incominciato a ballare forte. Molto dipende pure dalla forza del biglietto verde, che in parte compensa il prezzo delle materie prime denominate nella divisa Usa, tra cui l’oro appunto.

Ma la causa principe della relativa stabilità del prezzo dell’oro sono i tassi di interesse reali (cioè depurati dall’inflazione). «Con un range dei tassi di interesse reali ristretto come nella fase attuale - spiega Ned Naylor-Leyland, gestore del fondo Old Mutual Gold & Silver - il prezzo dell’oro non dovrebbe andare incontro ad alcun movimento repentino». Invece, come suggerisce il gestore, se la Fed fosse meno aggressiva del previsto e i tassi reali si comprimessero, l’oro salirebbe. In quel caso, infatti, potrebbe servire da scudo al potere d’acquisto.

lunedì 11 giugno 2018

Bitcoin e criptovalute. Attento al paese del marketplace (Coinbase etc.)

A settembre 2015, dopo lo scoppio del caso Silk Road (il supermarket clandestino del deep web), il capo del dipartimento dei crimini sulle valute digitali del Dipartimento di Giustizia di Washington, Kathryn Haun, dichiarò alla stampa che il ministero della Giustizia Usa non aveva in agenda interventi sul bitcoin. Il 24 maggio scorso la posizione dell’Amministrazione federale e si è ribaltata: Bloomberg ha rivelato che il dipartimento di Giustizia, insieme alla Cftc, la Commissione federale sui derivati, ha aperto una inchiesta sulla manipolazione dei prezzi della principale criptovaluta mondiale.

Perché si sono mosse le autorità federali Usa? Quali sono le regole e le tutele per gli investitori? La svolta della posizione della giustizia Usa nei confronti della possibile manipolazione dei corsi del bitcoin non è arrivata per caso . Nel corso degli anni, l’amministrazione di Washington ha accumulato posizioni sempre più chiare sulla necessità di regolare il settore. Il 19 maggio 2014 una lettera firmata dai membri del Comitato sulle banche del Senato di Washington, e controfirmata dall’allora presidentessa della Fed Janet Yellen, chiese alle agenzie governative Usa di verificare se e come le criptovalute rispettavano la legislazione americana. La Sec, equivalente Usa della Consob italiana, si era già mossa: la prima causa contro schemi Ponzi applicati al bitcoin risale al luglio 2013. Da allora le iniziative legali (la Sec, a differenza della Consob, ha poteri giudiziari) sono fioccate.

Il 24 settembre 2015 la Cftc ha emesso le prime sanzioni. Il 17 ottobre 2017 la stessa Commodity Futures Trading Commission (Cftc) ha emanato le linee guida per aiutare i partecipanti al mercato e gli innovatori a “navigare nel panorama fintech”. Il 19 gennaio di quest’anno Cftc e dipartimento legale della Sec hanno emesso una dichiarazione congiunta nella quale hanno riaffermato che “continueranno a colpire le violazioni e a lavorare per fermare e prevenire le frodi nell’offerta e nella vendita di strumenti digitali”.

Nel mirino del dipartimento della Giustizia Usa potrebbero finire ora le “borse” dove le circa 1.500 criptovalute esistenti, a partire dal bitcoin, vengono scambiate tra loro e con le valute a corso legale. Non tutte le “borse” offrono infatti strumenti di tutela degli investitori e poche sono quelle che rispondono alle richieste regolamentari di verifica e garanzia sulla formazione degli ordini di acquisto e di vendita.

Tra queste poche, quella che sino a oggi è apparsa da sempre compliant con le regole Usa è l’americana Coinbase. La società che gestisce l’exchange ha sede a San Francisco. Dopo aver iniziato a operare dagli Stati Uniti, ha via via allargato la propria offerta in 18 Paesi, in particolare in Europa. A fare la differenza è spesso proprio la nazione nella quale sono basate le società che offrono servizi di exchange delle criptovalute. Bitstamp ha sede in Croazia, Bitfinex in Svizzera, Cryptsy e Kraken negli Usa. Altri exchange hanno sede in Paesi dove le regole appaiono più lasche: Btc-e si suppone abbia sede in Bulgaria, BtcChina in Cina, Bitcoin Source in Belize.

Ma la lista comprende CampBx, Bter, itBit, OkCoin, HitBtc, AskCoin e oltre altre sessanta piattaforme, spesso senza una sede legale conosciuta o collocate in Paesi dalle legislazioni quasi assenti quanto a tutela dell’investitore. Come spiegato da Plus24 sul numero scorso, proprio queste “borse” (che Borse non sono) di criptovalute sono considerate da molti esperti i veri “buchi neri” delle transazioni sulle cripto, per le quali non si è ancora riusciti a capire se le tecniche di formazione e collocamento degli ordini siano legali o possono essere manipolate per influenzare i prezzi. In attesa che arrivino risposte, la prima regola per chi vuole comprare o vendere criptovalute appare dunque quella di verificare quale sia lo status giuridico dell’exchange al quale si rivolge, se abbia una società alle spalle e se risponda o meno a leggi nazionali di tutela degli investitori.

Per tutti i dettagli, vedi il libro dedicato alla tassazione dei Bitcoin.