martedì 9 dicembre 2014

Attenti alle truffe Forex–il caso Secure Investment

Secure Investment era una società con sede non individuata che prometteva grazie al Forex guadagni di circa il 250% annui. Questi di seguito sono infatti i loro presunti track record mensili:

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La società quindi non prometteva semplicemente facili guadagni come fanno vari brokers e piattaforme del Forex, ma gestiva direttamente i soldi degli investitori, promettendo di fatto un rendimento di circa l’1% per ogni giorno di mercati aperti.

Sembrerebbe una bugia talmente colossale che nessuno ci cadrebbe. Eppure ben 100.000 investitori di tutto il mondo sono rimasti fregati. Come nei soliti schemi piramidali alla Ponzi, i risparmiatori vedevano i loro capitali salire. Lo facevano quindi sapere agli amici (c’era anche il solito programma incentivante allo scopo) e quindi la marea cresceva. Più gente arrivava e più facile era acconsentire alle poche richieste di prelievo con i soldi di questi ultimi. Finché tutto ovviamente poi è crollato e a quel punto sito Internet non più raggiungibile e società sparita nel nulla. Ancora oggi non si sa esattamente dove avesse sede.

Anche in Italia mi capita di vedere pubblicità di broker Forex con la fotografia di persone normalissime (e qui sta il trucco: sono apparentemente come noi, senza quindi chissà quali capacità) che dichiarano guadagni incredibili in poco tempo. Facile come bere un bicchier d’acqua.

Oppure quelle pubblicità che saltano fuori dalle pagine che si aprono da sole (pop up), in cui una voce narrante racconta come anche tu grazie al loro metodo potrai diventare facilmente ricco. Basta che ti iscrivi o apri un conto.

Spesso si sfruttano parole magiche ed esotiche, altre volte le opzioni binarie, oppure il Forex. Ovviamente su quest’ultimo si sfrutta l’effetto moda: il Forex da anni è il mercato finanziario più in crescita. Non vuol dire quindi che il Forex sia una truffa, ma semplicemente che visto che attira molte persone interessate ad investirci, attira anche molti truffatori che oggi soprattutto grazie a Internet possono nascondersi nell’anonimato, magari basandosi su qualche stato estero irraggiungibile come i vari paradisi fiscali.

Attenzione quindi a chi presti fiducia. Se opti per il Forex, seleziona un broker affidabile ed autorizzato. Ti consiglio in particolare Markets, operatore con sede a Londra ed autorizzato dalla FCA inglese. Inizia aprendo un conto demo da questa pagina, e nel frattempo sfrutta il notevole materiale formativo (ebook,videocorsi etc.) messo da loro gratuitamente a disposizione degli iscritti.

lunedì 8 dicembre 2014

Previsioni 2015 su valute e materie prime

COMMODITIES

Analizzando il mercato delle materie prime, si segnala la forte discesa degli ultimi cinque mesi – che ha vanificato il rialzo rilevato nella prima metà dell’anno – aggravata dall’attuale ribasso di novembre in cui le quotazioni hanno raggiunto i minimi da inizio anno. Tale andamento è confermato dall’indice CRB di riferimento, la cui performance è stabilmente in negativo nel 2014 (circa -4.0%), con un calo trimestrale del 6.9%; l’intonazione è avallata anche dalla tendenza discendente sulle medie mobili sino a sei mesi.

Le pressioni ribassiste rimangono legate al possibile rallentamento della crescita globale e alla conseguente riduzione per la domanda di commodities, anche a causa delle notizie provenienti dalla Cina che potrebbe volersi svincolare dall’eccessiva dipendenza dai settori export-oriented puntando maggiormente allo sviluppo dei consumi interni. In aggiunta, il costante vigore del dollaro americano disincentiva gli acquisti degli investitori non USA e l’economia giapponese ha mostrato una chiara debolezza scivolando, a sorpresa, in una nuova recessione. Per quanto riguarda le componenti principali, è forte ancora la contrazione del petrolio sia per i timori di una minore domanda al rallentare dell’economia mondiale sia per l’ampio output proveniente dagli Stati Uniti, in seguito all’utilizzo delle tecniche di shale oil.

Di contro, l’oro sta registrando un tentativo di recupero – in virtù della natura di hedging dall’inflazione – in virtù degli stimoli implementati da BoJ, Banca popolare della Cina e BCE; a ciò si somma l’evidenza di un incremento dell’export dalla Svizzera lo scorso mese per quanto concerne il mercato fisico, sulla maggiore richiesta proveniente da Cina e India.

VALUTE

Sul fronte dei cambi, il Dollar Index sta mettendo in luce nuovi massimi dall’inizio del 2014 grazie alla forza espressa dal biglietto verde USA nei confronti delle principali valute. L’apprezzamento, da un lato, ha fatto seguito alla decisione della Fed di mettere fine al piano di stimolo quantitativo, viste anche le prospettive espresse circa il consolidamento dell’economia statunitense. Di contro, la moneta unica europea sta subendo le pressioni ribassiste stimolate dalle speculazioni di nuove misure di allentamento quantitativo della BCE, come espresso in modo inequivocabile dal presidente Draghi che si è detto preoccupato per l’inflazione troppo bassa, da combattere con tutti gli strumenti a disposizione.

Nello stesso senso, si è registrata la decisione a sorpresa della Bank of Japan di espandere la base monetaria, incrementando anche -0.931054803 Il grafico mostra l'andamento ribasato a 100 al 31/12/2012 di DJ EuroStoxx50 (rosso), Indice CRB (blu) e DOLLAR Index (arancione). mostrando un recupero, come nel caso dell’Eurozona. Per l’equity di Tokio, risorse di base e ciclici evidenziano un balzo MtD superiore al 9.0%; viceversa, l’energy è l’unico comparto ancora negativo su tutti gli archi temporali, cui a novembre si è aggiunto il calo delle telecomunicazioni. Dal punto di vista grafico, gli indici settoriali MSCI delle tre aree geografiche evidenziano un incremento delle quotazioni che le ha condotte in una attuale fase di ipercomprato.

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venerdì 5 dicembre 2014

E se l’euro recuperasse sul dollaro e yen?

previsioni euro yenCosì come lunedì l'ipotesi di un acquisto di titoli di Stato da parte della Bce ha indebolito l'euro lunedì, così ieri la notizia di un indice Zew migliore delle attese ha rafforzato la valuta unica europea sul mercato dei cambi. Nel dettaglio, ieri l'euro ha riacceso i motori ed è tornato sopra le soglie di 1,25 dollari e 146 yen. Per la precisione, la moneta unica ha raggiunto quota 1,254 dollari contro gli 1,246 del giorno prima.

Contro la divisa giapponese, l'euro è salito a quota 146,41 yen contro i 144,94 di lunedì. A far prevalere gli acquisti sulla moneta europea sono state le buone notizie provenienti dal fronte macroeconomico. Il sentiment di analisti e investitori tedeschi infatti è salito a novembre per la prima volta in circa un anno ha battuto di gran lunga le attese. Di fatto, si tratta di un messaggio di incoraggiamento per chi crede che possano salire le speranze per un miglioramento della principale economia europea. L'indice Zew, elaborato su base mensile dal "think tank" tedesco, è schizzato infatti a 11,5 punti dai -3,6 di ottobre. Il consensus degli economisti interpellati per il sondaggio Reuters era per un aumento a 0,5 punti. Si tratta della prima volta in un cui l'indice registra un incremento dal dicembre 2013.

Subito dopo la pubblicazione del dato l'euro ha infatti toccato il massimo di seduta sul dollaro mentre i derivati sul Bund hanno ridotto i guadagni. Nel contempo va segnalata la costante caduta della moneta giapponese, che si è indebolita rispetto alla maggioranza delle 16 principali valute globali. Abe ha comunicato che scioglierà il parlamento il prossimo 21 novembre. La divisa giapponese è caduta del 7,5 per cento lo scorso mese, distinguendosi come la peggiore valuta tra le dieci più sviluppate seguite dal Bloomberg Correlation-Weighted Indexes.

«Abbiamo un sentiment positivo per i mercati azionari perchè il rialzo delle tasse presumibilmente avverrà più tardi del previsto, mentre dall'altra parte c'è un incertezza politica che è una cattiva notizia per lo yen», ha detto Soeren Hettler, analista senior del mercato dei cambi per Dz Bank. Proprio lo yen ha perso almeno l'1,5 per cento contro il dollaro da quando il quotidiano Yomiuri ha riportato, lo scorso 11 novembre, che Abe farà tutti i passi necessari per salvare l'economia, che è scivolata in recessione nel corso dell'ultimo trimestre. L'economia di Tokyo, infatti, ha registrato un calo annualizzato dell'1,6 per cento nel terzo trimestre, dopo essersi contratta del 7,3 per cento nei precedenti 3 trimestri.

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mercoledì 3 dicembre 2014

Previsioni sull’oro per fine 2014 inizio 2015

Il 30 novembre gli svizzeri sono chiamati alle urne per decidere, tra l’altro, se imporre, o meno, alla Banca nazionale elvetica di tenere un quinto delle sue riserve in oro. Alle spalle c’è un neanche tanto celato desiderio di ritornare a qualcosa di abbastanza simile al vecchio gold standard, quando le valute erano garantite dall’oro nei caveau delle Banche centrali (non a caso è anche previsto il rimpatrio dell’oro svizzero tenuto all’estero).

È un modo per impedire che la Banca Nazionale svizzera faccia un quantitative easing all’americana stampando soldi. Se vincono i sì, la Banca centrale elvetica ha due scelte. La prima è mantenere le riserve attuali acquistando un quantitativo di oro stimato a seconda dei casi tra 1.500 e 1.800 tonnellate nel giro di 5 anni, ossia un quantitativo che è ben oltre la metà di quanto prodotto in tutto il mondo nel corso di un anno. La seconda è far scendere le riserve vendendo valuta estera in modo che l’oro che ha già in cassaforte diventi un quinto del totale. Nel primo caso farebbe impennare la domanda di oro sui mercati mondiali (e si presume i prezzi). Nel secondo caso dovrebbe rinunciare alla difesa del franco svizzero e lasciare che si rafforzi sull’euro con un effetto disastroso per le esportazioni elvetiche e l’economia in generale. Un bel dilemma, ma veniamo all’acquisto di oro.

Questa strategia (di acquistare oro) si andrebbe ad unire agli acquisti che attualmente stanno conducendo Russia e soprattutto Cina. Questa vuole rafforzare le sue riserve con lo scopo di diventare meno dipendente dal dollaro Usa. Gli acquisti delle Banche centrali vanno comunque avanti da anni e dovrebbero sostenere il prezzo dell’oro.

Perché l’oro è calato?

Se l’oro ha tutti i motivi che hai visto per apprezzarsi, ne ha anche altrettanto buoni per calare. In primo luogo l’inflazione al momento è, se non morta, certo tramortita un po’ ovunque. Senza timore di inflazione c’è meno interesse per l’acquisto di oro, classico bene rifugio quando i prezzi corrono. In secondo luogo le Borse non stanno andando poi tanto male. E finché le Borse vanno bene l’oro diventa una forma di investimento poco fruttuosa. In terzo luogo, il dollaro non se la sta passando tanto male, anzi sta guadagnando terreno su euro e yen. Storicamente quando il dollaro sale l’oro cala, e viceversa. Risultato? Siamo scesi sotto i 1.200 dollari l’oncia. NON SI SPUTA SULL’ORO A conti fatti da tempo ti diciamo che puoi tenerti una piccola somma investita in oro, non superiore al 5 % dei tuoi soldi e di farlo con l’Etf l’Etfs gold bullion securities (88,33 euro; Isin GB00B00FHZ82).

La strategia resta buona. Un po’ per quello che ti abbiamo detto sugli acquisti pazzi delle Banche centrali e un po’ perché il prezzo attuale dell’oro è sotto quota 1.200, un livello che, secondo alcuni osservatori, è il prezzo limite per cui a molti produttori di metallo giallo converrebbe chiudere baracca anziché estrarre altro oro. Ma se chiudono baracca l’offerta è destinata a scendere e il prezzo, di conseguenza, a risalire come è ovvio in ogni logica di scarsità. Insomma, il momento non è buono, ma non è il caso di disperare. Per i fegati forti riprendiamo il discorso di “analisi tecnica” che ti avevamo fatto poche settimane fa.

Ora che ha sfondato il pavimento dei 1.200 dollari ed è a 1.146,3 l’oro potrebbe scendere ancora verso i 1.000 dollari, un calo di poco meno del 13 %. Si apre una scommessa sul ribasso con il certificate gold -5x di Société Générale (65,5 euro; Isin IT0006725482), che moltiplica, ma al contrario, i movimenti dell’oro per 5. Attenzione, però: non si sa come andrà il referendum svizzero, ma i primi sondaggi, seppur condotti on line, danno il sì in vantaggio. Basta un sondaggio serio che indichi un risultato analogo e questa analisi grafica rischia di saltare completamente e il ribasso fermarsi o invertire la tendenza. In tal caso anziché guadagnare ci perdi.
Il nostro modo preferito per puntare al rialzo e al ribasso sull’oro sono i CFD di Markets.

lunedì 1 dicembre 2014

Previsioni sulla rupia indiana

rupia indianaStabilizzazione dopo gli entusiasmi e occhio vigile sulle riforme sono i temi dominanti tra gli operatori interpellati. Sandra Crowl, di Carmignac, esordisce: «Nel breve termine, dato l’aumento del 25% nel mercato azionario, la presa di profitto creerà senza dubbio un certo consolidamento dei livelli attuali. Ci aspettiamo che la crescita degli utili sia il principale motore, soprattutto nei beni discrezionali, nelle infrastrutture e nelle telecomunicazioni ». Daniele Mellana, di East Capital, puntualizza: «Il mercato indiano non è comunque conveniente con un P/E stimato per il 2014 di 15,1, specialmente in un contesto regionale dove la Cina scambia a 9. La borsa di Mumbai è positiva per il 22% da inizio 2014, quella cinese negativa per il 10%».

Alla base del recente movimento vi è il chiaro risultato elettorale, che ha dato la maggioranza assoluta alla destra indù, fortemente orientata al libero mercato. Ricorda infatti Maurice Harari, di Syz Asset Management: «Il risultato delle elezioni è stato d’aiuto per le azioni indiane, che hanno mantenuto il movimento rialzista cominciato a inizio anno. La rupia ha seguito anch’essa questo andamento, mostrando un aumento del 5% nei confronti del dollaro nel 2014. I mercati si sono lasciati convincere dal programma di riforme del neopremier Modi, del partito nazionalista indù, d’ora in poi, però, probabilmente gli investitori si concentreranno sui risultati».

Jan Boudewijns, head of emerging markets equity management di Candriam, consiglia di attendere:
«Per gli investitori desiderosi di lanciarsi su questo listino, appare saggio aspettare una correzione, dopo il recente rally. Oppure l’alternativa è entrare gradualmente. Senz’altro, se Modi avrà successo nelle sue riforme, l’India diventerà una delle piazze più allettanti nei prossimi anni». Regina Borromeo, di Legg Mason, conferma il sentiment di aspettativa generato dai nuovi policy maker, con il duo Modi e Rajan che sarebbe «l’opzione più vicina a un dream team per gli investitori». Entrando nello specifico dei comparti, Valentina Madama, di Symphonia Sgr, afferma: «Siamo positivi su finanziari, ciclici e small cap, ma molto più tiepidi sui beni di largo consumo che mostrano ormai piene valutazioni ». Anche Anthony Chan, asian sovereign strategist, global economic research di AllianceBernstein punta sulla valuta: «La rupia è uno degli asset da possedere: ha vissuto un forte rally grazie al migliore sentiment di mercato e offre tuttora un buon carry».

Addirittura la divisa indiana potrebbe risultare la più performante fra quelle emergenti nel 2014, almeno a sentire Sanna Kurronen, analista di Nordea: «Ci aspettiamo che la crescita del Pil aumenti oltre la soglia del 6% nei prossimi anni, rispetto al 4,7% visto nel 2013. La valuta indiana verrà ulteriormente sostenuta dalla diminuzione del deficit di partite correnti e da una Banca centrale restrittiva. Infatti si tratta di una divisa che quest’anno potrebbe risultare quella con la migliore performance tra le emergenti». In questo ambito non mancano scetticismi. Grant Webster, di Investec Asset Management, aggiunge: «Il mercato sta scommettendo pesantemente su un ulteriore apprezzamento della rupia, il che implica il rischio di una presa di profitti nel breve periodo.

Nonostante gli ultimissimi dati, le esportazioni quest’anno sono state deludenti e hanno avuto difficoltà proprio a causa della forza della moneta mostrata a partire dallo scorso novembre».
Catherine Yeung, investment director per l’azionario asiatico di Fidelity Worldwide Investment, infine, richiama l’attenzione sulle principali sfide che attendono l’India: «Occorre crescita, si deve lavorare allo sviluppo delle infrastrutture e creare un contesto più favorevole per le imprese. Sono ad esempio in stallo alcuni progetti del valore di 8.300 miliardi di rupie, pari al 7,8% del Pil del 2013. Se ne fossero approvati anche solo alcuni, si porrebbero le basi per la crescita futura. Importanti anche i fondamentali economici: nonostante l’inflazione sia diminuita e il doppio deficit (fiscale e delle partite correnti) si sia ridotto, entrambi rimangono elevati. L’incremento del costo della vita rimane alquanto sostenuto a causa degli alti prezzi dei generi alimentari, pertanto nell’immediato futuro la politica monetaria non potrà che confermarsi restrittiva. Infine le riforme economiche: dal nuovo governo si aspettano progressi sul fronte di cambiamenti fondamentali, come la semplificazione delle procedure di acquisizione dei terreni, lo sviluppo di un regime fiscale omogeneo disciplinato dalla Goods and services tax e l’allentamento delle restrizioni per gli investimenti esteri in settori cruciali».

venerdì 28 novembre 2014

Previsioni sul dollaro–quando a 1,20 su euro?

cambio euro dollaroNonostante i tassi a zero, la Fed oggi risulta la banca centrale meno accomodante nel panorama internazionale: la fine del terzo quantitative easing è stata annunciata nell'ultima riunione del Fomc, il Comitato di politica monetaria della Banca centrale Usa. Paradossi della crisi finanziaria esplosa nel 2007 e che oggi hanno prodotto un rafforzamento repentino del dollaro, balzato di oltre il 10% sull'euro dallo scorso maggio e letteralmene volato contro lo yen dopo il nuovo piano di immissione di liquidità della Banca del Giappone. L'economia Usa cresce e crea occupati mentre l'Europa stenta e costringe la Bce a dichiarare nuovamente di essere pronta con misure non convenzionali.

Basta questo per giustificare il ciclo rialzista del superdollaro. Già molti risparmiatori hanno tratto vantaggi da questo rialzo e altri pensano di aumentare le esposizioni su asset a stelle e strisce. Siccome la crisi finanziaria ha stravolto le regole, restano però molti punti interrogativi sul fronte valutario. Intanto se il mercato scontasse un rialzo lineare dei tassi (il primo ritocco è atteso nel giugno del 2015) le prospettive sui decennali sarebbero più aggressive: invece la proiezione degli analisti sui rendimenti dei Treasuries per il prossimo triennio è stata ritoccata al 4,25% dal precedente 5,5%. Non è attesa nessuna fuga massiccia dai bond e oggi il decennale rende circa il 2,5 per cento. Poi il rialzo del dollaro allontana l'inflazione e rende meno impellente tassi più alti. Senza dimenticare che se il dollaro si rafforzasse troppo l'economia potrebbe risentirne: la soglia di allarme è indicata dagli analisti sotto 1,20.

Per Maria Paola Toschi, market strategist di J.P. Morgan Asset Management, «il rialzo dei tassi avverrà nel 2015 ma resta ancora parecchia incertezza sul timing e sulle modalità. Comunque non sarà un rialzo già prestabilito ma sempre vincolato ai dati macroeconomici. Detto questo il dollaro è atteso restare forte contro le principali valute e quindi anche contro euro. Solitamente il biglietto verde ha dei cicli molto lunghi di forza e oggi potremmo essere all'inizio di un movimento del genere. Il dollaro beneficia non solo del contesto macro ma anche delle politiche divergenti delle banche centrali, tra tutte la Fed è attesa diventare quella meno espansiva in termini di allentamento quantitativo». Il movimento del dollaro, così netto e generalizzato verso tutte le valute, pone dubbi anche agli stessi Stati Uniti.

«Un 10% di rivalutazione del biglietto verde - Simone Facchinato, responsabile investimenti Amundi Sgr - impatta per due-tre quanti di punto sul Pil Usa e sicuramente rallenta un attimo la prospettiva di rialzo dei tassi. Tutti i movimenti che si realizzano troppo repentinamente sul mercato dei cambi creano sempre squilibri. Comunque ha senso che il dollaro possa dirigersi verso 1,20 contro euro. Molto dipenderà anche dalle future mosse della Bce. L'area tra 1,20 e 1,25 rappresenta in questo momento un probabile range di equilibrio».

Sullo sfondo resta sempre questo ruolo chiave delle banche centrali, sintomo di un'economia che ancora è lontana da ristabilirsi. «Il vero elemento di novità delle ultime settimane - Donatella Principe, responsabile Institutional Business di Schroders Italia - è che, di fronte ai primi segnali di difficoltà con la correzione sui listini azionari, tutte le Banche centrali sono intervenute per ribadire i propri impegni a sostegno dei mercati. Potrebbe essere un segnale di una loro mancanza di fiducia sulle prospettive di una ripresa solida dell'economia internazionale», conclude Principe.

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mercoledì 26 novembre 2014

Il prezzo dell’oro legato al referendum svizzero? Non solo

quotazioni oroA fine mese si svolgerà un referendum sulle riserve della Bns Il contesto resta debole per il metallo giallo Tutto, o quasi, depone contro l’oro in questo momento sui mercati finanziari. Una situazione esattamente speculare a quella di tre anni fa quando il metallo giallo realizzò il massimo storico a un soffio da 2.000 dollari l’oncia. Oggi le quotazioni si stanno pericolosamente muovendo in area 1.150 dollari, ai minimi dal 2010. La perdita dal massimo del settembre 2011 è intorno al 40%.
Il quadro dei mercati non è favorevole: Wall Street resta sui massimi storici e gli investitori preferiscono puntare sulle azioni, mettendo da parte il ruolo dell’oro come bene rifugio.

Il dollaro si è rafforzato di oltre il 10% sull’euro e il dollaro storicamente ha un andamento opposto all’oro: un dollaro più forte protegge già dall’inflazione (peraltro ai minimi) e per gli investitori non statunitensi diventa più caro comprare oro. La recente nuova maxi iniezione di liquidità della Banca del Giappone (BoJ) ha poi peggiorato il quadro perché indica che le banche centrali sono ancora vigili sui mercati, non vogliono troppi scossoni e la liquidità in eccesso non riesce a produrre quell’inflazione che giustifica l’acquisto di oro. La domanda fisica, secondo gli analisti, resta poi insolitamente bassa in questa fase soprattutto da India e Cina. Detto questo i corsi hanno già perso molto, raggiungendo target che molte banche d’affari prevedevano addirittura nel terzo trimestre 2015.

Un sostegno ai prezzi potrebbe poi arrivare a fine mese dalla Banca nazionale svizzera. «Un fattore potenzialmente positivo per il prezzo nel breve termine - spiega Névine Pollini, Senior Analyst Commodities di Union Baire Privée UBP - per il prezzo dell’oro nel breve termine potrebbe essere costituito da un eventuale “sì” al referendum in Svizzera, per l’iniziativa “Save our Swiss Gold”. Se ciò avvenisse, gli acquisti di oro da parte della Banca centrale svizzera sarebbero incrementati in modo da raggiungere il target del 20% (circa 1.600 tonnellate d’oro). Bisogna comunque tener conto che tali acquisti sarebbero spalmati nei prossimi cinque anni». L’auspicio è che il ritorno d’interesse per le banche centrali possa almeno compensare il massiccio deflusso dall’oro finanziario. I dati di Barclays evidenziano che a ottobre gli asset gestiti dagli Etp nel mondo delle commodity (gli strumenti cloni che replicano le materie prime) sono scesi ai minimi dal marzo del 2010.

A guidare questa classifica non a caso è il settore dei metalli preziosi (-8% su base annua). Solo negli ultimi due mesi dall’oro sono usciti 2,9 miliardi di dollari. Un circolo vizioso: l’oro debole alimenta nuove vendite e così via. Per gli esperti comunque a questi livelli può avere senso scommettere in un rimbalzo. Secondo Marco Palacino, Managing Director per l’Italia di BNY Mellon IM, oltre all’esito positivo del referendum in Svizzera «ci sono tre buone ragioni per tenere una quota di oro in portafoglio in un’ottica di lungo periodo: come difesa dall’inflazione e dalla deflazione, come protezione dagli effetti imprevisti delle politiche monetarie e come bene rifugio reale in caso di crisi geopolitiche o shock finanziari».

Le variabili che oggi impattano sui corsi del metallo giallo a livello internazionale fuga dagli investimenti Il mese scorso gli asset gestiti a livello mondiale negli Etp sulle commodity, vale a dire gli strumenti-cloni che replicano le materie prime, sono scesi ai minimi dal marzo del 2010 e non è un caso che la performance dell’oro abbia subìto un nuovo scivolone (-40% dai massimi storici). Il processo di finanziarizzazione dell’oro nell’ultimo decennio ha trasformato questa materia prima in un’asset class con dinamiche molto volatili.

mercoledì 19 novembre 2014

Previsioni sul dollaro e il rublo russo

La vittoria repubblicana nelle elezioni americane di midterm ed il discorso di Draghi, che ha aperto la porta a nuove misure di stimolo da parte della Banca Centrale Europea, hanno ulteriormente spinto al ribasso l’euro/dollaro. Il rapporto di cambio fra le due valute ha violato il supporto posizionato in area 1,25, arrivando a nuovi minimi in area 1,236 per poi chiudere la settimana a 1,2454. Tecnicamente il trend rimane ancora impostato al ribasso, con il cambio sempre più vicino all’area 1,20, storico supporto nell’ultimo decennio.

Il dollaro ha mostrato la sua forza anche nei confronti della sterlina inglese, con il «cable», cioè il cambio sterlina/dollaro sceso a 1,5878, mentre la banconota verde ha aggiornato nuovi massimi addirittura dal 2007 nei confronti dello yen giapponese salendo a quota 115.

Prosegue nel frattempo la caduta libera del rublo russo, che paga le tensioni in Ucraina, ma anche la debolezza delle quotazioni del petrolio, ed è scivolato ai nuovi minimi storici nei confronti delle principali valute. Il cross fra rublo ed euro ha superato per la prima volta quota 60, mentre il rapporto dollaro/rublo è arrivato fino a dei massimi a 48,5, valori davvero allarmanti per la divisa moscovita se si pensa che in estate la banconota verde era scambiata intorno ai 35 rubli. Situazione estremamente interessante sui metalli preziosi, con l’oro che dopo aver toccato i nuovi minimi degli ultimi quattro anni in area 1.130 dollari è rimbalzato con forza, chiudendo la settimana a 1.177 dollari l’oncia, non lontano dalla prima significativa resistenza, posizionata in area 1.180. In recupero anche l’argento, risalito a 15,75.

lunedì 17 novembre 2014

Trading online su Forex e derivati

Il segmento del trading online continua a crescere e trova nuova linfa dalla diversificazione dei mercati (derivati e forex registrano le percentuali più interessanti) oltre che dalla capillare diffusione delle piattaforme mobili. Il bilancio dei principali operatori, in occasione del Tol Expo, la rassegna sul trading online appena svoltasi a Borsa Italiana, è lusinghiero.

Fineco resta la società leader, anche sulla base delle operazioni registrate nel primo semestre da Assosim. «Nel 2014 - commento di Marco Briata, responsabile prodotti banking e trading di FinecoBank - il mercato del trading ha confermato la grande crescita del canale mobile e la diversificazione dei volumi su più mercati e prodotti finanziari. I clienti sono sempre più evoluti e attenti alle opportunità presenti sui mercati esteri o su asset class come bond, forex e indici.

L'operatività si sta progressivamente spostando sempre più verso il canale mobile, che da semplice strumento di appoggio sta sempre più diventando la piattaforma di riferimento, con una crescita di eseguiti di circa il 60% (1 sem 2014 vs 1 sem 2013)».

Resta in vetta per l'operatività IWBank. La società nei primi 9 mesi del 2014 registra una ripresa degli eseguiti sui mercati domestici, rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, in particolare la componente derivati si è rilevata significativamente brillante nelle fasi di maggiore volatilità. In ripresa anche il cash Usa, soprattutto nei primi mesi del 2014. «Assistiamo - commenta Andrea Gorlato, responsabile area commerciale IWBank - a un progressivo avvicinamento al trading di una fascia di investitori abituati ad operare in modo “occasionale”, anche a causa degli scarsi rendimenti di alcune asset class più tradizionali (come liquidità e bond)».

Tra gli ultimi player a sbarcare sul mercato italiano, uno dei più importanti in Europa, c'è l'olandese Binck. «Siamo in costante crescita - sul mercato italiano - dice Vincenzo Tedeschi, direttore generale BinckBank - con più di 4.000 clienti acquisiti in 2 anni e mezzo ed un aumento del 8% tra il 2 ed il 3 trimestre 2014 del numero di ordini eseguiti. Quello che ci contraddistingue e che rende la nostra offerta sempre più appetibile è rappresentato dai nostri servizi specializzati, come il Multicurrency extended ed il servizio di marginazione, e la vasta gamma di prodotti che è possibile negoziare tramite le nostre piattaforme».

Eseguiti in crescita addirittura con un picco del 53% per il forex nei primi nove mesi (e del 13% per i dispositivi mobili) per Directa, la storica società torinese che ha fatto da apripista al trading online in Italia. «Le percentuali - commenta Mario Fabbri, ad di Directa - sono forse un po' troppo lusinghiere, perché gli ordini si sono un po' ridotti come valore (più ordini ma di importo minore). Considerato il periodo, ci riteniamo più che soddisfatti».

Effetto traino con i derivati, infine, anche per Webank. Durante i primi nove mesi del 2014, confrontati con lo stesso periodo 2013, l'operatività trading della base clienti Webank ha subìto un leggero riassetto tra la componente cash e la componente derivati. A fronte di un incremento complessivo degli eseguiti, i clienti hanno aumentato l'operatività su strumenti derivati (+8%) riducendo contestualmente l'operatività su mercati cash (-4%). In particolare la crescita maggiore ha coinvolto le operazioni condotte sul mercato Idem di Borsa Italiana (+46%), mentre il calo più consistente ha coinvolto l'operatività su mercati obbligazionari (-28%), parzialmente compensata dalla crescita sul mercato azionario.

In crescita anche il mercato dei broker Forex, con il primo intermediario inglese ETX , che nonostante sia ancora poco noto in Italia sta aumentando vistosamente i volumi di trading grazie al migliori spread sul mercato, in particolare per il cambio euro-dollaro.

mercoledì 12 novembre 2014

Previsioni sul petrolio. Quota 50 dollari è possibile?

previsioni prezzi petrolioMentre i consumatori festeggiano la caduta dei prezzi del petrolio, la sua eventuale progressione e la sua durata agitano una serie di spettri sullo scenario internazionale. Prima di affrontarli, è necessario cercare di capire se la crisi è destinata a durare oppure no.

Per quanto avessi anticiPato nel 2012 quanto sta accadendo, non ho una sfera di cristallo: posso solo osservare che i motivi per cui indicai la possibilità di una caduta che nessuno pensava possibile sono ancora lì. La capacità produttiva mondiale di petrolio è cresciuta troppo, mentre la domanda ha continuato a crescere poco. Si è così creato un forte sbilanciamento che, a breve, è difficile da compensare.

Sarebbe necessario un forte rimbalzo dei consumi mondiali o un’azione decisa da parte dei grandi produttori, a partire da quelli riuniti nell’OPEC, ma entrambe le opzioni sono poco probabili per motivi che sarebbe troppo lungo spiegare in un breve commento. Altrettanto improbabile è una brusca interruzione del super-ciclo di investimenti che ha fatto lievitare la capacità produttiva, sia perché chi ha già speso buona parte del proprio budget continuerà a spendere per arrivare rapidamente a recuperare quanto ha già investito, sia perché una compagnia petrolifera – nella maggior parte dei casi - non può tagliare nottetempo i suoi investimenti senza il consenso del governo del Paese in cui opera, che non è così facile da ottenere. Difficile, inoltre, è che gli Stati Uniti riducano la loro produzione di petrolio, la cui impennata è stato il fattore più importante nell’aumento della capacità produttiva mondiale. La rivoluzione dello shale oil - seguita a quella dello shale gas - procede a passo impetuoso e, soprattutto, a costi che si riducono di anno in anno. Così, gran parte del nuovo greggio americano è capace di resistere a prezzi inferiori ai 65 dollari a barile. In queste condizioni, è possibile che il prezzo del petrolio scenda ancora, e potrebbe perfino precipitare se il panico si impossessasse del mercato. Solo in questo caso, cioè dopo una caduta verticale sui livelli inferiori a 60 o 50 dollari, sarebbe probabile una reazione forte sia della domanda mondiale, sia dei Paesi produttori e delle compagnie petrolifere. In altri termini, un vero collasso dei prezzi è possibile, ma avrebbe una durata limitata. Che il collasso si verifichi o no, una caduta prolungata dei prezzi dell’oro nero getta ombre lunghe sulla stabilità di alcuni Paesi critici per l’ordine mondiale.

Partiamo dalla russia, richiamando un elemento storico di solito trascurato. Negli ultimi 40 anni, la fortuna (o il declino) dei leader russi è andata di pari passo con i prezzi del petrolio. È stato così per l’ultimo Breznev, per Gorbaciov, per Eltsin e infine per Vladimir Putin che, grazie al volo dei prezzi del greggio (e del gas, legati al petrolio nei contratti di esportazione), ha potuto contare su stabilità e grande consenso interno. Ma ora che la maledizione dei prezzi calanti si ripresenta, lo stesso Putin avrà maggiori motivi di preoccupazione interna. Nel 2013, petrolio e gas hanno garantito oltre il 50 percento delle entrate statali russe, per le quali ogni calo di un dollaro del prezzo del greggio implica una perdita di 1.7 miliardi di dollari su base annuale. In linea teorica ciò significa che, se i prezzi rimanessero quelli di adesso, Mosca disporrebbe di quasi 50 miliardi di dollari in meno nel 2015, a cui si aggiungono altri 10-15 miliardi dovuti alle rinegoziazioni dei contratti del gas, su un budget di entrate (base 2014) di 400 miliardi di dollari. Un salasso micidiale, che unito alle sanzioni determinate dalla crisi Ucraina potrebbe aumentare esponenzialmente il malcontento verso Putin e spingere quest’ultimo a atteggiamenti più aggressivi sul piano interno e internazionale per sedare e mascherare i problemi interni.

I Prezzi del Petrolio in caduta, inoltre, potrebbero infiammare più di quanto non lo sia già la situazione dell’intero Medio Oriente e del Golfo Persico, partendo da due Paesi chiave di quello scacchiere: Arabia Saudita e Iran. Entrambi hanno abusato dell’abbondanza portata dal caro-petrolio per sussidiarie qualsiasi iniziativa sociale o consumo interno, in modo da contenere e confinare il malessere di popolazioni sempre più giovani (circa il 70 per cento delle popolazioni dei due Paesi è costituita da giovani sotto i 24 anni). Con l’avanzata del terrore islamico alle porte, il venire meno di introiti miliardari per Paesi in cui il petrolio genera tra il 60 per cento (Iran) e l’80 (Arabia Saudita) delle entrate statali potrebbe fare da detonatore per tensioni fino a oggi represse o sopite. E questo vale anche per altri Paesi del Golfo. Mi fermo qui per non agitare altri spettri, che non mancano.

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lunedì 10 novembre 2014

Previsioni sul rublo russo–rischi e opportunità

rublo russoIn quindici anni non era mai successo. Da quando è stato eletto per la prima volta al vertice della Federazione Russa, Vladimir Putin ha sempre festeggiato il suo compleanno al lavoro. L’anno scorso era a Bali, in Indonesia, per il forum sulla cooperazione economica dei Paesi dell’Asia-Pacifico. L’anno prima era a Mosca, in diretta televisiva per rilasciare una lunga intervista sui successi della sua presidenza. Questa volta è andata diversamente.

Martedì 7 ottobre, giorno del suo sessantaduesimo compleanno, «il capo di Stato è volato nella taiga siberiana per riposarsi ». L’insolita scelta, annunciata dal portavoce Dmitry Peskov, è stata spiegata così da alcuni analisti vicini al Cremlino: Putin può permettersi di prendere un giorno di pausa perché sa che il suo popolo non l’ha mai amato così tanto. A confermare la tesi ci sono i numeri. Quelli del Levada Center, una delle più autorevoli società di ricerca russe, dicono che il livello di popolarità dell’ex agente del Kgb a settembre è arrivato all’86 per cento, quasi venti punti in più rispetto a febbraio. Un balzo avvenuto in contemporanea alla crisi ucraina, all’annessione della Crimea a Mosca e alla guerra che ancora si combatte nel Donbass, la regione orientale dell’Ucraina.

Dietro l’ostentata sicurezza del suo presidente, la Russia nasconde un futuro incerto. Non si tratta solo dell’Unione Eurasiatica, progetto pensato da Putin per unire le ex Repubbliche sovietiche sotto l’egida di Mosca e ora depotenziato dalla svolta europeista di Kiev. A tenere sotto scacco il Cremlino è uno scenario di crisi economica interna difficile da affrontare per una nazione considerata ancora emergente, con una popolazione abituata a tassi di crescita annua vicini al 5 per cento e ora, improvvisamente, costretta a fare i conti con un prodotto interno lordo che stenta a navigare sopra lo zero.

La colpa va alle sanzioni economiche inflitte dall’Occidente, che stanno iniziando a farsi sentire nella Federazione. Ma, soprattutto, al repentino calo del prezzo del petrolio, colonna portante dello sviluppo economico russo. In quattro mesi il valore del greggio è calato di un quarto. Un barile di Brent, la qualità di petrolio più scambiata, è passato dai 115 dollari di giugno ai circa 85 degli ultimi giorni. Livelli che non si vedevano da quattro anni, e a cui i russi potrebbero doversi abituare.

Gli economisti di Goldman Sachs, in un report di fine ottobre, dicono infatti che il greggio «resterà probabilmente molto sotto gli 80 dollari fino al 2016». Se la profezia dovesse realizzarsi, per Mosca sarebbe un bel problema. La Russia ottiene circa la metà delle sue entrate fiscali dalla vendita di idrocarburi. E il suo bilancio pubblico, per mantenersi in attivo, ai livelli di spesa attuale ha bisogno che il Brent non scenda sotto i 100 dollari.

Insomma, in gioco c’è la sostenibilità del più vasto Paese al mondo. Non solo quella finanziaria. I proventi della vendita di petrolio, i cui prezzi sono triplicati da quando Putin è arrivato al potere nel 2001, hanno infatti permesso finora al Cremlino di varare misure popolari, come l’aumento degli stipendi dei dipendenti statali e il blocco dell’età pensionabile (60 anni per gli uomini, 55 per le donne) mentre in tutta l’Europa aumentava.

Putin finora ha gettato acqua sul fuoco. Ha detto di essere fiducioso, perché le cose miglioreranno. Ha sottolineato che, nonostante il calo del prezzo del greggio, il Paese non avrà problemi perché può contare sulle sue riserve monetarie. Il tesoretto in effetti esiste. In questi anni il governo ha accantonato 170 miliardi di dollari da usare come cuscinetto contro i ribassi del petrolio.

Ma quanto possono durare queste riserve se l’oro nero resta sotto quota 100? Gli esperti sono divisi. C’è chi dice quattro anni, chi tre, chi addirittura due. Tutto dipende dal valore esatto del greggio. «Di certo se il prezzo resterà ai livelli attuali per qualche anno», sostiene Neil Sharing, analista di Capital Economics, «la Russia non riuscirà a mantenere lo status quo». Qualche segnale negativo è già emerso. A fine ottobre l’inflazione è arrivata all’8,4 per cento, il massimo degli ultimi tre anni. Per evitare di rimanere strangolata dal calo del greggio, Mosca ha lasciato che il rublo si svalutasse, fino a toccare i minimi storici sull’euro e sul dollaro.

La valuta nazionale più debole, però, ha reso più care le importazioni. E così il costo della vita è schizzato verso l’alto. A ciò si aggiunge un altro fattore: l’embargo che il Cremlino ha imposto su buona parte dei prodotti agroalimentari europei. Una misura che impatta direttamente sui conti delle imprese del Vecchio Continente, ma che gradualmente sta facendo sentire i suoi effetti anche in Russia. In teoria, aveva detto Putin, il cibo made in Europe sarebbe stato sostituito da quello locale o di altri Paesi limitrofi, senza variazioni di costo per i consumatori. Non è andata così. Basti dire che a settembre il prezzo degli alimentari è aumentato dell’11,5 per cento rispetto al mese precedente. Rincaro che pesa soprattutto sulle fasce più povere della popolazione, finora rimaste fedelissime al presidente.

La contromossa di Mosca, per ora, non ha dato i risultati sperati. Anzi, ha peggiorato le cose. Per provare a contenere l’inflazione, la Banca di Russia ha alzato i tassi d’interesse, cioè il costo del denaro: da febbraio a oggi la governatrice Elvira Nabiullina ha portato i tassi dal 5,5 al 9,5 per cento. La misura ha avuto però l’effetto di rallentare una crescita economica già vicina allo zero. Di tutto questo, ufficialmente, il Cremlino non sembra preoccuparsi. La parola d’ordine è «fiducia». Talmente tanta da correre il pericolo di risultare irrealistica.

Nell’ultima legge finanziaria si prevede che l’anno prossimo l’inflazione sarà al 6 per cento, il prezzo del petrolio a 100 dollari e la crescita economica all’1,2 per cento. Peccato che, secondo tutti i centri studi internazionali, le cose andranno molto peggio. La Banca mondiale, per esempio, nel suo scenario di base stima che il pil crescerà dello 0,3 per cento l’anno prossimo e dello 0,4 nel 2016.

Insomma, ha scritto il settimanale britannico “The Economist”, «sembra che la Russia sia diretta verso la stagflazione», situazione in cui l’economia non cresce ma l’inflazione sì. Chris Weafer, analista di Macro Advisory, residente a Mosca da quindici anni, dice che «il rischio di un collasso della Federazione non è da escludere: più che un ulteriore calo del prezzo del greggio, improbabile perché danneggerebbe tanti altri Paesi, la Russia potrebbe finire a gambe all’aria se venissero inasprite le sanzioni, in particolare se le sue banche venissero estromesse dallo “Swift settlement system”, il sistema usato dagli istituti per trasferire i soldi tra di loro, la stessa misura adottata
dall’Occidente nei confronti dell’Iran».

Di certo, per ora, la guerra commerciale con Stati Uniti e Unione europea ha già causato parecchi danni all’interno della Federazione, e non solo per l’aumento dei prezzi del cibo. Il crollo del rublo, unito a un’economia che continua ad arrancare, ha fatto aumentare la fuga di capitali dal Paese. Secondo la Banca di Russia, nei primi nove mesi dell’anno sono usciti dalla Federazione 85 miliardi di dollari contro i 61 miliardi dell’intero 2013.

Tra le sanzioni annunciate negli ultimi mesi, una delle più dannose riguarda il divieto, per alcune delle principali società russe, di finanziarsi sui mercati occidentali. Un grattacapo non da poco, dato che negli ultimi tre anni le sole banche hanno trovato copertura per metà dei loro debiti proprio in Europa. Tra le aziende colpite c’è ad esempio Rosneft, la compagnia petrolifera nazionale guidata da Igor Sechin, che quest’anno ha in scadenza obbligazioni per 15,9 miliardi di dollari. Situazione simile per la Gazprom di Alexei Miller, colosso di Stato del gas, e per istituti di credito come Sberbank e Vtb.

Il divieto di fare credito a società russe ha avuto l’effetto di spostare il baricentro della Federazione verso est. Il legame con la Cina si sta rafforzando, ma Mosca dovrà pagare un prezzo: le sue aziende saranno infatti costrette a versare tassi d’interesse più alti, visto che senza l’offerta di Usa e Ue i costi di finanziamento risulteranno maggiori. Altro limite imposto dall’Occidente riguarda l’esportazione di tecnologia in Russia. Un divieto pensato soprattutto per bloccare lo sviluppo di nuovi giacimenti di gas e petrolio, di cui la Federazione è ricca ma impossibilitata a goderne senza l’aiuto di Europa e Stati Uniti.

Da quando il divieto è scattato, a settembre, parecchi progetti si sono bloccati. Uno dei principali si trova nel mare di Kara: il giacimento Pobeda, in russo “Vittoria”, è considerato uno dei più grandi al mondo tra quelli non ancora sfruttati, con una quantità di petrolio maggiore di quella contenuta nell’intero Golfo del Messico. Da quando sono scattate le sanzioni, l’americana ExxonMobil, che doveva svilupparlo insieme a Rosneft, si è ritirata dal progetto. Secondo la società di ricerca Ihs Cera, se le sanzioni resteranno invariate la produzione di petrolio in Russia calerà dagli attuali 10,5 milioni di barili al giorno a 7,6 milioni nel 2025.

Il futuro petrolifero di Mosca, che al momento resta il maggior produttore al mondo, dipende infatti dallo sviluppo di nuovi giacimenti. Quelli di shale oil, in particolare, l’oro nero intrappolato nelle rocce d’argilla, lo stesso che ha dato vita al nuovo miracolo economico americano. Secondo il Dipartimento dell’Energia statunitense, la Russia ha le maggiori riserve di shale oil al mondo, ma senza la tecnologia occidentale non è in grado di sfruttarle. Il giacimento più grande, chiamato Bazhenov, doveva essere sviluppato da Exxon e Rosneft. Poi sono arrivate le sanzioni e tutto si è fermato, così come le collaborazioni fra Shell e Gazprom Neft, la divisione petrolifera di Gazprom. Insomma, se le cose resteranno così, sarà impossibile per la Federazione russa aumentare la produzione petrolifera.

Perché, come ha spiegato l’amministratore delegato di Lukoil, Vagit Alekperov, un quarto della produzione di oro nero nazionale si basa sui servizi di tecnologia occidentale. «L’errore è stato quello di non usare i proventi degli idrocarburi per creare industria e rendersi indipendente, e ora Putin rischia di pagarne il prezzo», dice Alessandro Terzulli, capo economista della Sace, la società italiana che assicura i crediti delle imprese. Come dire: il colosso dai piedi d’argilla, come nel ’700 fu definita la Russia dal filosofo illuminista Denis Diderot, deve sperare che il petrolio torni sopra i 100 dollari e l’Occidente cancelli le sanzioni. Altrimenti Putin dovrà tagliare la spesa pubblica. E quando si taglia la spesa, si sa, anche la popolarità può calare.

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giovedì 6 novembre 2014

Promozione eToro per nuovi clienti - coupon bonus

eToro, il noto Forex broker, ha lanciato una nuova promozione per nuovi traders. L’offerta prevede un aumento del bonus in base al deposito effettuato, con deposito minimo di 200 dollari. Si tratta di una promozione limitata, fino al 9 novembre 2014, per cui non ritardare.

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lunedì 3 novembre 2014

I cambi più caldi sul Forex - previsioni novembre dicembre 2014

Quando si parla di oltre mezzo milione di italiani che praticano il trading online, non dobbiamo immaginarci un esercito di investitori che in ogni angolo del Paese passa quotidianamente ore davanti a uno schermo cliccando a ritmo frenetico ordini di acquisto e di vendita. No, la stragrande maggioranza, almeno il 90%, fa meno di 8 operazioni al mese: una sorta di cassettista digitale, versione evoluta del classico risparmiatore che acquista titoli e li tiene per lungo tempo, incassando le cedole delle obbligazioni o i dividendi delle azioni sino a quando non saranno salite al punto da convincersi a venderle.

tendenze forexI più attivi, quelli che maggiormente corrispondono alla figura del trader online nell’immaginario collettivo, il pubblico di manifestazioni come l’ITForum di Rimini o il TOL Expo di Borsa Italiana a Milano, sono di meno: circa il 6% di quel mezzo milione si posiziona tra i 9 e i 32 ordini al mese, il 2% tra i 33 e 200, mentre soltanto l’1% supera le 200 operazioni mensili.

Il trading online rappresenta l’effetto più evoluto dell’apertura ai privati a livello globale di mercati e strumenti finanziari a lungo riservati agli operatori professionali. Direttamente dal computer di casa o dal proprio smartphone o tablet, attraverso un intermediario online, si possono investire anche piccolissime somme sulle Borse più lontane, sulle valute più esotiche, sulle oscillazioni dell’oro come del succo d’arancia; potendo puntare sia sui rialzi sia sui ribassi, utilizzando gli strumenti a leva che moltiplicano i guadagni (e le perdite), comprando e vendendo nell’arco di minuti o di ore come di settimane o di mesi.

«Con le opportunità di investimento — osserva Carlo Alberto De Casa, analista di ActiveTrades, broker online londinese tra i più importanti in Europa con 20 mila clienti (7 mila in Italia) — è cresciuta al tempo stesso in modo significativo la preparazione dell’investitore medio, che ha scoperto modalità e tecniche innovative, con maggiore flessibilità e commissioni più basse ». Azioni e obbligazioni, conferma De Casa, restano il piatto forte del mercato. Ma anche in Italia le tendenze più evidenti sono state l’aumento di interesse per le materie prime e soprattutto per le valute. «Negli ultimi anni — conferma De Casa — è cresciuto in misura esponenziale, fino a rappresentare circa il 20% del totale, il numero dei trader che seguono il mercato valutario, il Forex, che a livello globale muove ogni giorno 5 mila miliardi».

Proprio in queste settimane esperti di Forex e di trading di Markets  stanno conducendo in tutta Italia un Tour di seminari gratuiti, aperti anche ai neofiti dell’investimento online. Ma quali sono le tendenze prevalenti tra i trader online italiani in questa fase dei mercati, tra interventi delle autorità monetarie ed effetti delle tensioni geopolitiche?

«Negli ultimi mesi – osserva De Casa – abbiamo visto un ritorno di fiamma verso il cambio euro/ dollaro, che era stato un po’ accantonato nella prima parte dell’anno, quando la volatilità era calata. Più interesse anche per la sterlina: l’economia britannica gira, al Paese ha giovato rimanere fuori dall’euro e la divisa ha fatto segnare nuovi record nei confronti di euro e dollaro, per poi arretrare sui timori legati all’esito del referendum scozzese di settembre. I trader si concentrano soprattutto sul cambio sterlina/ dollaro». In aumento anche le operazioni sulle valute australiana e neozelandese in rapporto al dollaro, così come i volumi su oro e argento dopo il lungo periodo di ribasso. La crisi ucraina e le difficoltà del governo di Ankara hanno fatto infine scoprire a molti anche il rublo russo e la lira turca, valute molto movimentate sul catalogo di Markets.

martedì 21 ottobre 2014

Lo scontro Fed Bce influenza il cambio euro dollaro

Il cambio euro dollaro è sempre difficile da prevedere per il fatto che, oltre a variabili finanziarie, è fortemente influenzato da variabili politiche. Riporto questo articolo di Libero che illustra le forze in gioco.

Se Stati Uniti ed Eurozona, in sostanza  Fed e Bce,non inizieranno a parlarsi per trovare una convergenza sul cambio dollaro euro aumenterà il rischio di una destabilizzazione globale preceduta, e forse innescata, da una depressione nella regione europea. La svalutazione dell’euro è l’unica azione efficace nel breve termine per dare un po’ di crescita e reflazione all’Eurozona. Ma l’America non vuole che il dollaro si alzi troppo sull’euro.

Le cronache enfatizzano l’opposizione della Germania alla politica svalutativa avviata dalla Bce. Ma è molto più rilevante quella della Fed. La Germania può abbaiare ed ostacolare, ma non impedire. E Draghi lo ha dimostrato. L’America e la Fed, in quanto signori del dollaro che è la moneta di riferimento mondiale, hanno il potere di impedire. Per tale motivo sarebbe inefficace la semplice soluzione di vendere tonnellate di euro contro dollari fino a portarne il cambio, prima per un breve periodo vicino al rapporto 1 a 1, per poi stabilizzarlo attorno alla parità del potere d’acquisto (1,16dollari per 1 euro, circa). L’America avrebbe il potere di annullare questa mossa per la maggiore capacità di influenzare i flussi globali di capitale che determinano i cambi.

Per questo mi chiedo se sia possibile un compromesso. Per inquadrarlo bisognerebbe capire cosa veramente vogliano la Fed e l’Amministrazione Obama. La Fed, infatti, sta mostrando posizioni ambigue. Il Pil sta crescendo oltre il 3%,ma la Fed ha comunicato la preoccupazione di una crescita insufficiente per riassorbire la disoccupazione. Poiché la disoccupazione sta scendendo sotto il 6%, obiettivo precedente il cui raggiungimento avrebbe implicato una riduzione delle politiche espansive che deprezzano il dollaro, la Fed ha deciso che bisognava guardare al tasso di occupazione (cioè a quanta gente ha rinunciato a cercare lavoro) come riferimento principale.

Sembra una scusa per lasciare a zero il costo del denaro senza termine,cosa che impatta in basso sul cambio. Se non è una scusa, comunque la Fed ha vistosamente rinunciato allo strumento da essa stessa ritenuto essenziale per la governance del sistema finanziario, cioè la "forward guidance" (dare riferimenti futuri precisi al mercato). E ciò segnala un’anomalia vistosa. Confermata qualche giorno fa quando la Fed ha fatto indirettamente filtrare che potrebbe riprendere il programma di acquisto di titoli di Stato (QE) che è cessato perché non più necessario .

Ma la perla è l’aver tentato di far credere che un dollaro troppo alto potrebbe creare deflazione in America. Incompetenza della neo-governatrice Yellen, economista di sinistra sospettabile di "populismo monetario", cioè di prendere troppi rischi sul lato dell’inflazione? Non credo. Annuso, invece, un patto politico: per essere nominata in quella posizione da Obama (a fine 2013)e confermata dal Congresso con forte influenza della sinistra non possiamo escludere che questa rimarchevole signora, in cambio, abbia riservatamente promesso al Partito democratico di tenere una politica monetaria inflazionista ad oltranza, nonché il dollaro basso, per favorire una crescita drogata a favore del consenso alla sinistra. Se così fosse, potremmo sperare che dopo le cruciali elezioni di medio termine, a novembre, la pressione politica si riduca, permettendo, alla fine, al dollaro di rivalutarsi e all’euro di scendere come dovrebbero. Ma quello detto è solo un fattore.

Ce ne sono anche di tecnici. La Fed ha paura che il rientro dalla politica monetaria espansiva, alzando il costo del denaro, faccia crollare le Borse. Queste sono cresciute solo grazie alla pompa di capitale fatta dalle Banche centrali (americana, inglese, nipponica,meno la Bce) e se finisse prima del consolidamento della ripresa il rischio ci sarebbe. Ma c’è anche il fatto che gli attori finanziari non vogliono rinunciare alla cuccagna e ricattano la Fed tirando giù le Borse, normale. Anormale è che la Fed si faccia ricattare. La Fed potrebbe aver ragione su un punto:unrialzotroppoforte e rapido del dollaro metterebbe in grave difficoltà le nazioni, per lo più emergenti, che si sono indebitate in dollari, con il rischio di una tempesta globale, e ciò deve far pensare.

Ma il pensiero risultante è che se Fed e Bce convergessero: (a) potrebbero accordarsi su oscillazioni di cambio non traumatiche; (b)potrebbero, insieme, resistere meglio ai ricatti del mercato finanziario; (c) potrebbero collaborare per tenere sostenuta la pompa di capitale utile per le Borse, ma anche sostenibile; (d) soprattutto, se l’Eurozona in trappola del cambio andasse in depressione- deflazione grave la Fed ed il governo americano non avrebbero strumenti per evitare di importare una mega crisi. In conclusione, un compromesso salverebbe ambedue. E noi.

mercoledì 15 ottobre 2014

Previsioni sul dollaro neozelandese fine 2014

dollaro nuova zelandaPotrebbe essere pronto a ripartire al ribasso il cambio del dollaro neozelandese contro il dollaro americano. Il cosiddetto Kiwi, questa settimana, è uscito dalla fase di consolidamento che ha registrato il cambio dopo il raggiungimento del supporto di medio periodo a 0.7710 dollari.

Nel dettaglio, lo scorso giovedì, il dollaro neozelandese ha registrato una seduta di apprezzamento abbastanza importante che ha fatto raggiungere quota 0.7975 dollari al cambio, livello corrispondente al ritracciamento della rottura di una trend line rialzista. Dopo aver registrato il pull back, il cambio nella seduta di venerdì è rapidamente tornato a scendere per andare a chiudere l’ottava a ridosso di 0.7840 dollari.

Nonostante l’alto livello di rischio, molti operatori hanno puntato i loro portafogli su un ulteriore ribasso del cambio con target veramente molto ambiziosi. Si parla infatti di area 0,74 dollari dove risiedono numerosi minimi relativi passati. L’eventuale conferma per un target tanto importante, rimane comunque la rottura al ribasso del supporto di breve a 0,7709 dollari.

Come già anticipato sopra, il rischio/rendimento dell’operazione è interessante. Se l’obiettivo è portare a casa 4 figure (400 tick), lo stop loss si posiziona poco al di sopra della resistenza di breve formata dal minimo relativo del 4 febbraio 2014 e quindi a circa due figure sopra l’attuale quotazione a 0,8080 dollari. Quindi si rischia due per portare a casa quattro (probabilità di uno a due). Il ribasso, oltre che tecnicamente, potrebbe essere supportato a livello fondamentale dalla Nuova Zelanda. Non è un segreto infatti che le autorità di politica monetaria del paese considerino l’attuale quotazione del dollaro neozelandese contro il dollaro americano troppo alta, danneggiando così le esportazioni (e l’economia) del paese.

Negli ultimi due mesi il Kiwi ha lasciato sul terreno oltre 11 punti percentuali. Secondo il governatore della banca centrale neozelandese (Rbnz) Graeme Wheeler, nonostante il recente crollo dei prezzi, il livello raggiunto dalla valuta neozelandese è ancora «ingiustificato e insostenibile». La Rbnz si è così detta pronta a intervenire per correggere questa presunta anomalia sul cambio, con interventi diretti sui mercati valutari. Ma non finisce qui. Il primo ministro ritiene che il Kiwi valga 0,67 dollari, il che significa che rispetto ai valori correnti ci sarebbe quindi spazio per un ulteriore deprezzamento della valuta del 15% circa. Il calo del dollaro neozelandese potrebbe inoltre essere accelerato dalle intenzioni della Fed di rialzare a breve i tassi d’interesse americani.

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lunedì 13 ottobre 2014

Strategie segrete forex per fine 2014

All’interno di una fase sempre più delicata per il contesto azionario, identificare opportunità di investimento risulta sempre più difficile. Il sentiment sta infatti svoltando verso il basso per gli asset rischiosi, compresi i bond societari con rating inferiore, che tante soddisfazioni hanno offerto negli ultimi anni. La compressione dei rendimenti, tanto in termini nominali, per i bond governativi, che sugli spread di credito negli high yield, sembra ormai a un punto di svolta, non proprio a favore di chi gioca solo la carta del rialzo del prezzi dei bond. Un’asset class alternativa ad azioni e obbligazioni sono le materie prime, ma anch’esse attualmente patiscono aspettative negative, a causa dell’economia che cresce molto meno delle aspettative. I movimenti dei tassi di cambio rappresentano quindi un’opportunità più che valida, soprattutto considerando la scarsità di temi alternativi.

Uno dei cambi di riferimento cui tutti guardano resta l’euro- dollaro, peraltro molto ben impostato in termini di trend al ribasso. La chiamata su una posizione lunga sul dollaro, a scapito dell’euro, è giunta da tempo, nel momento in cui è divenuta palese la divergenza di politiche monetarie tra la Fed e la Bce. Non tutto è perduto però per coloro che sono rimasti fuori dal trade del 2014. Il recente rimbalzo verso 1,275-1,28 (perfetto pull-back dopo la rottura ribassista di tale soglia) ha permesso infatti di ricostruire posizioni rialziste sul dollaro, con aspettative di nuovo test verso quota 1,25, sotto il quale il successivo punto di arrivo si colloca in area 1,23-1,2350 dollari.

In termini di rendimenti sulle medie scadenze Usa si segnala in questi giorni un forte movimento al ribasso, che potrebbe però essere presto riassorbito e successivamente riprendere il percorso al rialzo, sostenendo ulteriormente la valuta americana. Un altro trade valutario avallato sia dai fondamentali che dall’analisi tecnica interessa il cross euro-sterlina inglese. L’uscita dalle politiche monetarie non convenzionali è ormai un dato di fatto anche per il Regno Unito, e la sterlina ne approfitta dirigendosi verso i minimi degli ultimi sei anni. Tecnicamente si suggerisce di posizionarsi al ribasso in caso di recupero verso 0,795, con spazi di successivo test verso 0,775 sterline. Sotto questo livello i successivi obiettivi si posizionano a 0,755 sterline prima e 0,74 sterline circa in seconda battuta.

Uscendo dai cambi di riferimento, il cross tra l’euro e la lira turca è ancora una buona opportunità in termini di carry trade. La stabilizzazione della divisa emergente non sembra compromessa, e il livello di guardia oltre il quale potrebbero arrivare brutte notizie per chi punta al rialzo scatterebbe solo oltre 2,95-2,97 lire turche. Per ora tale resistenza è a distanza, e considerando i rendimenti piuttosto elevati che gli investimenti a breve offrono, resta una valida opportunità per l’investitore europeo. Uscendo dal contesto Ue, il cross dollaro Usa-corona norvegese mantiene un solido trend al rialzo, a favore della valuta americana. Il superamento dei massimi dal 2011, a ridosso di 6,30 corone, ha offerto un altro spunto direzionale, permettendo subito un forte allungo. Potenzialità di crescita sino a 6,70 corone nel medio periodo.

Infine, si conferma il rialzo dello yuan contro il dollaro. La volatilità dei primi mesi del 2014 è stata assorbita, e il movimento principale è tornato rialzista, anche grazie alla sempre più elevata apertura ai capitali mondiali del mercato azionario interno. Possibile un test verso 6,05-6,07 yuan per fine anno.

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mercoledì 1 ottobre 2014

Previsioni cambio euro dollaro ottobre dicembre 2014

previsioni dollaro usaIn 5 mesi l’euro ha perso l’8,6% nei confronti del dollaro. Un'enormità per chi ha sfruttato le previsioni tramite la leva ottennedo guadagni a 2-3 cifre. Una tale caduta si era verificata solo due anni fa.

Due anni fa gli andamenti della finanza pubblica di diversi Paesi dell’Eurozona, tra cui l’Italia, erano davvero fuori controllo, e la prospettiva di un ritorno alle valute nazionali, con tutte le conseguenze prevedibili sui sistemi finanziari dei Paesi membri, avevano reso la moneta unica una delle valute più rischiose del mondo e soprattutto più esposte agli attacchi della speculazione internazionale.

Oggi una discesa dell’euro da 1,38 a 1,27 contro il dollaro viene invece salutata con sollievo, considerato che l’economia di tutta l’Eurozona, e non solo dei Paesi periferici, ha il fiato sempre più corto, anche in Francia e in Germania, il nocciolo duro di Eurolandia. Al di là del Reno la produzione sta perdendo colpi, e le aspettative degli imprenditori sono sempre meno ottimiste, come evidenziato dall’autorevole istituto Ifo, il cui indice, ora a quota 104,7, è ai minimi dal 2009. Nel frattempo Oltralpe peggiora sempre più il disavanzo pubblico in relazione al pil e lo stesso prodotto lordo segna il passo.

Tutto ciò mentre a Bruxelles ha ancora un forte peso il partito del rigore, che si oppone all’adozione di politiche fiscali espansive come soluzione alla crisi, e che ha i massimi esponenti nel nuovo Commissario Ue agli Affari economici ed ex primo ministro finlandese, Jyrki Katainen, e nel presidente della Bundesbank, Jens Weidmann. Come conciliare il rigore nella spesa pubblica con l’esigenza di stimolare la crescita? Con le esportazioni.

Ecco perché l’indebolimento dell’euro nei confronti del dollaro (gli Usa sono ancora il principale mercato di sbocco per i prodotti dell’Eurozona), è visto in modo molto favorevole. Peraltro, gli economisti lo auspicavano da molto tempo.

Ma è tutt’altro che scontato che l’attuale ribasso dell’euro, e più in generale il rafforzamento del biglietto verde, sia un fenomeno duraturo. «Non dimentichiamoci del differenziale di inflazione esistente tra Usa ed Europa (circa l’1,7%, ndr)» sottolinea Mario Spreafico, direttore investimenti per l’Italia di Schroders private banking. Intanto l’impennata del biglietto verde è frutto di due sorprese, una brutta, per l’Eurozona, e una bella, per gli Stati Uniti.

«Indicatori economici migliori del previsto Oltreoceano hanno coinciso con un inaspettato rallentamento dei prezzi nell’Eurozona » spiega Asmara Jamaleh, analista dei mercati valutari di Intesa Sanpaolo. In Eurolandia, a fine agosto l’indice dei prezzi al consumo è risultato dello 0,4% su base annua (contro lo 0,6% nel trimestre precedente), quando le previsioni indicavano un aumento dello 0,7%. Sembra poco, ma una lettura inferiore di quali la metà alle previsioni indica che per l’area euro la caduta in deflazione sta diventando più di una possibilità.

Per questo la Bce ha risposto con il taglio dei tassi allo 0,05%. Che all’atto pratico non è molto efficace, ma comunque invia ai mercati il segnale che l’istituzione non è inerte di fronte al fenomeno. Intanto al di là dell’Atlantico, malgrado un calo del 18% degli ordini di beni durevoli in agosto, è risultato più in salute del previsto il mercato del lavoro, «quello a cui i mercati finanziari sono più sensibili, perché è la bussola della Fed» aggiunge Jamaleh.

Giovedì 25 settembre le richieste settimanali di sussidi di disoccupazione sono aumentate di 12 mila unità. Il dato è inferiore alle previsioni, ma soprattutto è il più basso dal 2000. Nel frattempo è stato rivisto al rialzo il pil nel secondo trimestre al +4,6 dal +4,2% preliminare, che indica come l’economia americana stia uscendo dalle secche della stagnazione, e che quindi la banca centrale possa anche anticipare l’aumento dei tassi.

Tuttavia non sono unanimi le opinioni degli operatori su quanto la Fed sia disposta ad accettare un superdollaro, che certamente comporterebbe problemi per l’export. «Molto dipenderà dai nuovi dati sul mercato del lavoro negli Usa attesi per fine settimana» aggiunge Jamaleh. Se i segnali inviati dall’economia fossero ancora positivi, il dollaro potrebbe avviarsi con decisione verso quota 1,25 o anche 1,23. E se il biglietto verde dovesse proseguire nel rialzo, allora la Fed potrebbe anche rinviare di alcuni mesi il rialzo dei tassi, oggi in programma per fine giugno del 2015.

Ma per gli Usa è davvero un male il superdollaro nell’attuale situazione geopolitica? «Oggi gli Stati Uniti sono più disposti ad accettare una valuta forte, perché sosterrebbe le esportazioni delle altre aree del mondo, stimolando lo sviluppo globale e riducendo le tensioni politiche nelle aree periferiche», spiega Andrea Delitala, strategist della banca svizzera Pictet. Tradotto, un maggiore sviluppo nel mondo spunta le armi dei terroristi. «E non si pensi che la Yellen sia del tutto indipendente da Obama».

Euro-dollaro è la coppia del momento se vuoi guadagnare sul Forex. Per investire sul cambio euro dollaro ti consigliamo il Forex broker Etx – solo 0,7 pips di spread, il più basso in Europa. Etx è uno dei più storici e affidabili intermediari Forex, con sede a Londra regolamentato da FCA e Consob.
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lunedì 29 settembre 2014

Opinione su ActiveTrades–spread allargati

opinione broker activetradesActiveTrades è uno dei più noti Forex brokers. Broker autorizzato che ogni anno invia anche la certificazione di plus e minusvalenze.

Le opinioni in rete non sono però positive. Come già detto, il fatto che un intermediario sia autorizzato da Consob o altra autorità europea analoga, è solo il primo passo da verificare. L’affidabilità e la serietà si misurano poi sui fatti.

ActivetradesStando ai commenti in Internet, sono frequenti allargamenti dello spread nei momenti caldi, manipolazioni nei prezzi, spike  (variazioni forti e improvvise che rientrano in breve tempo) sui CFD che fanno scattare stop loss.

Ecco il commento di un trader su CFD dopo che per uno spike ha visto chiudersi la sua posizione sul Dax in forte perdita:
“al telefonomi hanno detto che è un problema di connessione internet (ammettendo il problema), ma per iscritto mi hanno detto che l'evento si è verificato realmente nel mercato. E ciò la dice lunga sulla qualità delle persone e dell'azienda con cui si ha a che fare: consiglio a tutti di non operare con ACTIVETRADES”.

In questi casi il consiglio è di salvarsi gli screenshot di altri broker senza spike, glieli mandi via mail e chiedere il rimborso sporgendo reclamo. Requisito principale: gli spike devono essere solo sul broker in questione.

Per esempio con Cmc Markets  (broker che crea pure grafici fasulli sui titoli) questa strategia funziona.  Se non fai formale reclamo con anche delle prove, è ovvio che non otterrai nulla.
Consiglio comunque di valutare alternative. Prova per esempio il servizio di Markets.

lunedì 22 settembre 2014

Inchiesta truffa Ibs Forex–dove sono i soldi?

ibs forex truffa inchiestaProsegue lentamente l’inchiesta sul fallimento di Ibs Forex, finanziaria italiana sparita nel 2009 insieme a circa 50 milioni di euro dei clienti.

Attualmente l’inchiesta cerca proprio di capire dove siano finiti questi soldi. Due sono le piste note. Una la Svizzera. L’altra la Danimarca, in quanto è noto che Ibs Forex si appoggiasse su un conto presso la danese Saxo Bank, noto broker forex.

Ma dopo un anno e mezzo di attesa, non c’è alcuna risposta dalle rogatorie internazionali verso Danimarca e Svizzera. E finché non arriveranno le risposte delle rogatorie, l’inchiesta rischia di rimanere al palo.

In ogni caso sono ormai poche le speranze degli investitori di rivedere almeno in parte i loro soldi. Rimane l’insegnamento di diffidare da proposte di finanziarie improvvisate, soprattutto nel settore del Forex dove esercitano numerosi intermediari dubbi coperti dal segreto di paradisi fiscali dove hanno la loro sede legale. Anche l’autorizzazione ad operare in Europa ormai è un requisito necessario ma non sufficiente ad attestare l’affidabilità di un broker forex.

Brokers consigliati:
  • Markets  : affidabile, ottimo con i forex robot, disponibili molti corsi e ebook in italiano.
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venerdì 19 settembre 2014

Previsioni franco svizzero e corona norvegese - sopravvalutate

Determinare il corretto e appropriato rapporto di cambio tra due valute è molto complesso. Ci sono un'infinità di variabili tecniche e fondamentali. Per molti mesi gli operatori hanno detto in tutte le salse che l'euro era sopravvalutato rispetto al dollaro, ma solo oggi il cambio sembra convergere verso un rapporto più equilibrato.

Un approccio molto pragmatico per capire i rapporti di forza tra le monete arriva dal Big Mac Index: un indice creato dall'Economist nel 1986. In pratica viene preso un identico prodotto venduto da una grande multinazionale in tutto il mondo, in questo caso il panino Big Mac, e si raffrontano i prezzi nei vari paesi.

Viene elaborato una sorta di indice (che confronta le valute mondiali verso il dollaro ma anche contro euro), aggiornato poche settimane fa, e dall'ultima fotografia emerge che corona norvegese e franco svizzero sono le due valute più sopravvalutate rispetto all'euro. In questi paesi il prezzo del panino è decisamente più elevato rispetto ai listini dell'area euro. Una rilevazione che potrebbe apparire abbastanza grossolana, ma che trova conferme tra gli analisti.

«Nel caso del franco svizzero - spiega Matteo Paganini, chief analyst Fxcm - è condivisibile, come emerge dal Big Mac Index, che la divisa sia sopravvalutata rispetto ad euro e dollaro e questo nonostante la Banca centrale in passato abbia chiaramente indicato in 1,20 contro euro la linea in prossimità della quale è pronta a intervenire». Si tratta di un fenomeno, come ad esempio nel caso della corona norvegese o svedese, di ricerca di porti sicuri. C'è molta liquidità in giro e gli investitori destinano parte dei propri asset in chiave difensiva. Le recenti tensioni geopolitiche e l'azionario ai massimi, con il rischio di correzioni, hanno amplificato questa tendenza.

Secondo Paganini, però «acquistare oggi queste divise, sopravvalutate rispetto all'euro, può essere pericoloso anche se nel breve un ulteriore indebolimento della moneta unica potrebbe portare una apprezzamento della monete più difensive. È piu probabile, nel medio termine un riallineamento dei valori delle valute sopravvalutate piuttosto che un recupero di quelle sottovalutate, che sono prevalentemente nell'area dei paesi emergenti».

mercoledì 17 settembre 2014

Previsioni dollaro australiano e neozelandese per fine 2014

dollaro australiaConsiderate due valute rifugio, il dollaro australiano e quello neozelandese stanno ora mostrando di cedere il passo. In particolare, il dollaro australiano, la quinta valuta più trattata al mondo, è fortemente influenzato dall'economia cinese, il principale partner commerciale di Canberra. L'ultimo dato sulla manifattura della Repubblica popolare, in caduta a 50,3 a agosto (rispetto a una previsione del 51.5) ha creato pressione sull'"aussie". Si tratta di vedere se il trend negativo è solo momentaneo o continuerà nei prossimi mesi.

«La tendenza di lungo periodo del Pmi cinese resta positiva», commenta Martin Lakos, esperto di valuta basato a Sydney, ma c'è chi sostiene che il dollaro australiano fosse già avviato verso la discesa. Sul fronte interno, Glenn Stevens, overnatore della Banca centrale australiana, ha confermato il suo scarso interesse a tagliare i tassi d'interesse (fermi da un anno al 2,5% per sostenere l'industria mineraria in difficoltà) e questo per ora dovrebbe dare un supporto alla valuta australiana: «Con tassi invariati – afferma Annette Beacher, capo dell'Asia research per TD Securities – una caduta nel breve periodo è da escludere". La controprova nelle prossime settimane.

«La pazienza della Federal Reserve sarà messa a dura prova nei prossimi 3-6 mesi - commenta Sally Auld, debt strategist di JP Morgan - dato il rischio sulla domanda domestica e l'incertezza riguardo il mercato del lavoro». Gli operatori per ora parlano di un 30% di possibilità di un taglio dei tassi d'interesse entro marzo del prossimo anno. Anche il dollaro neozelandese ha vissuto una settimana deludente dopo che la Banca centrale locale ha tagliato le previsioni d'inflazione per il prossimi 24 mesi dal 2,36 al 2,23 per cento. Inoltre, anche le previsioni a 12 mesi sui prezzi al consumo sono calate dall'atteso 2,08% all'1,96 per cento.

Imre Speizer di Westpac commenta: «L'andamento del prezzo del latte e una Banca centrale "colomba" sono due fattori che influenzano enormemente. Per questo secondo Sue Trinh, esperta di Forex, in questo scenario ulteriori aumenti dei tassi dovrebbero «essere sospesi almeno fino alla fine dell'anno».

lunedì 15 settembre 2014

Trend euro in calo. Fino a quando?

previsioni euro dollaroIl trend è iniziato a maggio, ossia da quando gli operatori hanno iniziato a prendere consapevolezza della divergenza di politica monetaria Bce vs Fed. A ciò si aggiunga il forte calo dell'inflazione sempre più vicina allo 0% in area euro. L'attesa è che questo contesto possa continuare a far deprezzare l'euro per i prossimi 2 mesi.

Con quali implicazioni?
L'attesa di un possibile quantitative easing (Qe) citato da Draghi, tende a creare un terreno favorevole per il mercato obbligazionario dell'area Euro che potrebbe ancora essere impattato positivamente dall'attesa dell'implementazione del citato Qe. Sul mercato azionario potrebbero invece incidere temporaneamente le decisioni di asset allocation dei principali gestori mondiali, che recentemente hanno ridotto il forte sovrappeso presente nel primo semestre dell'anno. In un'ottica più lunga potrebbe però prevalere l'attesa di un impatto favorevole delle manovre Bce oltre che un eventuale utilizzo, da parte dei governi, dei margini di flessibilità insiti nei trattati dell'Unione, come ipotizzato dallo stesso Draghi.

Potrebbe individuare 2 livelli di cambio euro dollaro a fine anno e a metà 2015?
L'attesa è che il cambio arrivi a toccare area 1,30 tra il terzo e il quarto trimestre 2014. A fine anno potrebbero poi riprendere i flussi in entrata di capitali nell'area in vista del positivo impatto delle manovre di Draghi nel 2015. I flussi in entrata potrebbero aumentare nel caso in cui tra fine 2014 e inizio 2015 Draghi riuscisse a far partire il programma di acquisto di Abs allo studio della Bce da un anno.

Le Abs potrebbero risultare appetibili per gli investitori esteri, visto il contesto di tassi storicamente molto contenuti in diverse parti del mondo sviluppato. Di conseguenza a fine 2014 il cambio potrebbe attestarsi a 1,32 e proseguire la fase di recupero fino a metà 2015 con possibilità di spingersi fino a 1,35. I due principali fattori di rischio per questo scenario che teniamo sotto osservazione sono da un lato l'evoluzione della politica monetaria Usa, dall'altro l'ipotesi avanzata da alcuni analisti che il Qe della Bce possa interessare anche titoli governativi esteri.

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mercoledì 10 settembre 2014

Previsioni sulla lira turca. I fattori da valutare

La lira turca è appesa all'autonomia della Banca centrale. Chi ha bond deve seguire l'evoluzione dei rapporti interni.

Come va la lira turca?

L'elezione a presidente della Repubblica dell'ex premier Recep Tayyip Erdogan ha spinto sotto i riflettori la questione dell'autonomia della Banca centrale della Turchia.

Per ora l'istituto ha mantenuto il tasso di riferimento all'8,25% facendo rafforzare la lira a 2,15 contro il dollaro, e a 2,85 contro l'euro. Ma gli investitori che hanno acquistato obbligazioni turche in valuta locale dovranno tenere d'occhio in futuro il rischio cambio.

«La lira turca si è indebolita nelle ultime settimane dal momento in cui i rischi geopolitici sono tornati di nuovo a preoccupare i mercati. L'ex premier Erdogan ora presidente, vuole cambiare il sistema politico. Nel frattempo la lira turca sarà vulnerabile a battute d'arresto nella propensione al rischio generale», dice Anders Svendsen chief analist di Nordea. «Restiamo abbastanza prudenti sulle prospettive con una previsione a tre mesi della lira a 3,00 contro l'euro».

Più cauto Emre Akcakmak, gestore dell'East Capital Turkish Fund che «ritiene che il decisivo aumento dei tassi della Banca centrale all'inizio dell'anno sia stato strumentale alla stabilizzazione della lira, che da allora ha guadagnato il 7,5%. Nel nostro scenario base, ci aspettiamo che nei prossimi mesi la lira turca rimarrà relativamente stabile. Crediamo tuttavia che continuerà a rimanere altamente vulnerabile al potenziale deterioramento delle condizioni di liquidità globali a causa dell'attuale deficit strutturale delle partite correnti » che si è ridotto dall'8,1% del 2013 del Pil al 6,6% attuale.

«I rendimenti ancora alti e il continuo riequilibrio esterno sono di sostegno alla lira – scrive Kevin Hebner di JPMorgan Chase Bank –. Tuttavia, potenziali tagli dei tassi e un rialzo dell'inflazione (stimata in crescita al 9%) e maggiori rendimenti del T-Bill americani sono rischi che ancora incombono sulla valuta». Non a caso Ankara era nei cosiddetti "five fragile", termine coniato da Morgan Stanley per indicare i cinque Paesi troppo dipendenti dagli investimenti esteri: Brasile, Indonesia, India, Sudafrica e Turchia.

lunedì 8 settembre 2014

Come investire con il dollaro forte?

previsioni euro dollaroL'ultimo importante rimbalzo del dollaro risale a poco più di un anno fa. Fu particolarmente violento, spingendo il biglietto verde sotto 1,30 contro euro. Un anno dopo la scena si ripete (oggi l'euro viaggia poco sopra 1,31 con un guadagno del 6% sul dollaro dal picco di inizio maggio) ma il contesto è decisamente cambiato. Sono trascorsi poco più di 12 mesi, ma sembra molto di più.

L'anno scorso furono le parole incaute del numero uno della Fed, Ben Bernanke, su possibile rialzo dei tassi Usa, a scatenare una vera tempesta sui mercati: fuga dagli Emergenti, violenta correzione sull'azionario, vendite massicce sui bond. Un anno dopo il dollaro sta recuperando ma lo scenario è decisamente più tranquillo sul fronte di tutte le asset class. Cosa è mutato? Intanto la ripresa Usa si è rafforzata, la Fed è molto più prudente sulle date del primo rialzo dei tassi, si sa che avverrà nel 2015 ma non ancora quando, poi è scesa in campo più attivamente la Bce e questo ha cambiato il quadro.

«Gli Stati Uniti - spiega Francesco Sandrini, responsabile strategie multi-asset e membro dello Strategy Group di Pioneer Investments - stanno registrando una crescita significativa dopo un primo trimestre debole a causa di fattori straordinari, sta migliorando anche la bilancia commerciale e questo spiega il rafforzamento del dollaro. Se osserviamo il dollar index, che misura la forza del biglietto verde rispetto a un paniere di altre valute, vediamo che ha raggiunto livelli importanti dopo 3 o 4 anni di movimento dentro un canale ristretto e siamo all'inizio di un potenziale rally. Siamo lunghi di dollaro rispetto all'euro, dove il consenso di mercato è per un fair value, un valore corretto, intorno a 1,30, e il nostro sovrappeso è dovuto principalmente a causa della differenza nell'atteggiamento atteso ancora accomodante da parte della Bce rispetto a quello più restrittivo della Fed».

Con il rafforzamento del dollaro la prima regola per il risparmiatore, per trarre vantaggio da questo movimento, è puntare sugli strumenti legati nel biglietto verde. Si possono acquistare strumenti che investono direttamente nella valuta (come gli Etn o gli Etf che investono nella liquidità in dollari) o indirettamente in asset come azioni e bond. Da parte degli esperti c'è grande prudenza però visto che l'azionario statunitense è ai massimi storici e i tassi sui bond sovrani sono ai minimi. Maggiori opportunità si aprono per i bond high yield, quelli più speculativi, con rendimenti anche sopra al 5%: ma in questo caso i rischi sono elevati e soprattutto potrebbe diventare molto volatili quando la Fed deciderà di mettere mano ai tassi.

In questo momento un rialzo del dollaro porta indubbiamente benefici anche agli asset del Vecchio Continente, a partire dalle azioni ma anche per i bond visto che la Bce terrà i tassi fermi più a lungo della Fed e resta alta la caccia agli extrarendimenti. «Il movimento che si è innestato a favore del dollaro - Francesco Caruso, analista indipendente dei sito cicliemercati.it - ha le caratteristiche per continuare anche perché l'economia Usa ha confermato la ripresa. Il contemporaneo ribasso dell'euro migliora la competitivà delle imprese esportatrici del Vecchio Continente. E se per la Germania l'euro a 1,40 non voleva dire molto, per l'Italia sotto 1,35 il quadro migliora notevolmente per il sistema produttivo».

Secondo Caruso, «per quanto riguarda il mercato valutario, il cross da monitorare per eventuali ripercussioni sull'azionario è l'euro-yen. Se dovesse scendere sotto 136 significa che le tensioni valutarie possono uscire fuori controllo e impattare sul resto dei mercati. Tecnicamente con la discesa sotto 1,35 l'euro contro dollaro è sceso sotto le medie di lungo periodo e a questo punto può puntare verso un'area di 1,27-1,30 per fine anno».

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