venerdì 28 novembre 2014

Previsioni sul dollaro–quando a 1,20 su euro?

cambio euro dollaroNonostante i tassi a zero, la Fed oggi risulta la banca centrale meno accomodante nel panorama internazionale: la fine del terzo quantitative easing è stata annunciata nell'ultima riunione del Fomc, il Comitato di politica monetaria della Banca centrale Usa. Paradossi della crisi finanziaria esplosa nel 2007 e che oggi hanno prodotto un rafforzamento repentino del dollaro, balzato di oltre il 10% sull'euro dallo scorso maggio e letteralmene volato contro lo yen dopo il nuovo piano di immissione di liquidità della Banca del Giappone. L'economia Usa cresce e crea occupati mentre l'Europa stenta e costringe la Bce a dichiarare nuovamente di essere pronta con misure non convenzionali.

Basta questo per giustificare il ciclo rialzista del superdollaro. Già molti risparmiatori hanno tratto vantaggi da questo rialzo e altri pensano di aumentare le esposizioni su asset a stelle e strisce. Siccome la crisi finanziaria ha stravolto le regole, restano però molti punti interrogativi sul fronte valutario. Intanto se il mercato scontasse un rialzo lineare dei tassi (il primo ritocco è atteso nel giugno del 2015) le prospettive sui decennali sarebbero più aggressive: invece la proiezione degli analisti sui rendimenti dei Treasuries per il prossimo triennio è stata ritoccata al 4,25% dal precedente 5,5%. Non è attesa nessuna fuga massiccia dai bond e oggi il decennale rende circa il 2,5 per cento. Poi il rialzo del dollaro allontana l'inflazione e rende meno impellente tassi più alti. Senza dimenticare che se il dollaro si rafforzasse troppo l'economia potrebbe risentirne: la soglia di allarme è indicata dagli analisti sotto 1,20.

Per Maria Paola Toschi, market strategist di J.P. Morgan Asset Management, «il rialzo dei tassi avverrà nel 2015 ma resta ancora parecchia incertezza sul timing e sulle modalità. Comunque non sarà un rialzo già prestabilito ma sempre vincolato ai dati macroeconomici. Detto questo il dollaro è atteso restare forte contro le principali valute e quindi anche contro euro. Solitamente il biglietto verde ha dei cicli molto lunghi di forza e oggi potremmo essere all'inizio di un movimento del genere. Il dollaro beneficia non solo del contesto macro ma anche delle politiche divergenti delle banche centrali, tra tutte la Fed è attesa diventare quella meno espansiva in termini di allentamento quantitativo». Il movimento del dollaro, così netto e generalizzato verso tutte le valute, pone dubbi anche agli stessi Stati Uniti.

«Un 10% di rivalutazione del biglietto verde - Simone Facchinato, responsabile investimenti Amundi Sgr - impatta per due-tre quanti di punto sul Pil Usa e sicuramente rallenta un attimo la prospettiva di rialzo dei tassi. Tutti i movimenti che si realizzano troppo repentinamente sul mercato dei cambi creano sempre squilibri. Comunque ha senso che il dollaro possa dirigersi verso 1,20 contro euro. Molto dipenderà anche dalle future mosse della Bce. L'area tra 1,20 e 1,25 rappresenta in questo momento un probabile range di equilibrio».

Sullo sfondo resta sempre questo ruolo chiave delle banche centrali, sintomo di un'economia che ancora è lontana da ristabilirsi. «Il vero elemento di novità delle ultime settimane - Donatella Principe, responsabile Institutional Business di Schroders Italia - è che, di fronte ai primi segnali di difficoltà con la correzione sui listini azionari, tutte le Banche centrali sono intervenute per ribadire i propri impegni a sostegno dei mercati. Potrebbe essere un segnale di una loro mancanza di fiducia sulle prospettive di una ripresa solida dell'economia internazionale», conclude Principe.

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mercoledì 26 novembre 2014

Il prezzo dell’oro legato al referendum svizzero? Non solo

quotazioni oroA fine mese si svolgerà un referendum sulle riserve della Bns Il contesto resta debole per il metallo giallo Tutto, o quasi, depone contro l’oro in questo momento sui mercati finanziari. Una situazione esattamente speculare a quella di tre anni fa quando il metallo giallo realizzò il massimo storico a un soffio da 2.000 dollari l’oncia. Oggi le quotazioni si stanno pericolosamente muovendo in area 1.150 dollari, ai minimi dal 2010. La perdita dal massimo del settembre 2011 è intorno al 40%.
Il quadro dei mercati non è favorevole: Wall Street resta sui massimi storici e gli investitori preferiscono puntare sulle azioni, mettendo da parte il ruolo dell’oro come bene rifugio.

Il dollaro si è rafforzato di oltre il 10% sull’euro e il dollaro storicamente ha un andamento opposto all’oro: un dollaro più forte protegge già dall’inflazione (peraltro ai minimi) e per gli investitori non statunitensi diventa più caro comprare oro. La recente nuova maxi iniezione di liquidità della Banca del Giappone (BoJ) ha poi peggiorato il quadro perché indica che le banche centrali sono ancora vigili sui mercati, non vogliono troppi scossoni e la liquidità in eccesso non riesce a produrre quell’inflazione che giustifica l’acquisto di oro. La domanda fisica, secondo gli analisti, resta poi insolitamente bassa in questa fase soprattutto da India e Cina. Detto questo i corsi hanno già perso molto, raggiungendo target che molte banche d’affari prevedevano addirittura nel terzo trimestre 2015.

Un sostegno ai prezzi potrebbe poi arrivare a fine mese dalla Banca nazionale svizzera. «Un fattore potenzialmente positivo per il prezzo nel breve termine - spiega Névine Pollini, Senior Analyst Commodities di Union Baire Privée UBP - per il prezzo dell’oro nel breve termine potrebbe essere costituito da un eventuale “sì” al referendum in Svizzera, per l’iniziativa “Save our Swiss Gold”. Se ciò avvenisse, gli acquisti di oro da parte della Banca centrale svizzera sarebbero incrementati in modo da raggiungere il target del 20% (circa 1.600 tonnellate d’oro). Bisogna comunque tener conto che tali acquisti sarebbero spalmati nei prossimi cinque anni». L’auspicio è che il ritorno d’interesse per le banche centrali possa almeno compensare il massiccio deflusso dall’oro finanziario. I dati di Barclays evidenziano che a ottobre gli asset gestiti dagli Etp nel mondo delle commodity (gli strumenti cloni che replicano le materie prime) sono scesi ai minimi dal marzo del 2010.

A guidare questa classifica non a caso è il settore dei metalli preziosi (-8% su base annua). Solo negli ultimi due mesi dall’oro sono usciti 2,9 miliardi di dollari. Un circolo vizioso: l’oro debole alimenta nuove vendite e così via. Per gli esperti comunque a questi livelli può avere senso scommettere in un rimbalzo. Secondo Marco Palacino, Managing Director per l’Italia di BNY Mellon IM, oltre all’esito positivo del referendum in Svizzera «ci sono tre buone ragioni per tenere una quota di oro in portafoglio in un’ottica di lungo periodo: come difesa dall’inflazione e dalla deflazione, come protezione dagli effetti imprevisti delle politiche monetarie e come bene rifugio reale in caso di crisi geopolitiche o shock finanziari».

Le variabili che oggi impattano sui corsi del metallo giallo a livello internazionale fuga dagli investimenti Il mese scorso gli asset gestiti a livello mondiale negli Etp sulle commodity, vale a dire gli strumenti-cloni che replicano le materie prime, sono scesi ai minimi dal marzo del 2010 e non è un caso che la performance dell’oro abbia subìto un nuovo scivolone (-40% dai massimi storici). Il processo di finanziarizzazione dell’oro nell’ultimo decennio ha trasformato questa materia prima in un’asset class con dinamiche molto volatili.

mercoledì 19 novembre 2014

Previsioni sul dollaro e il rublo russo

La vittoria repubblicana nelle elezioni americane di midterm ed il discorso di Draghi, che ha aperto la porta a nuove misure di stimolo da parte della Banca Centrale Europea, hanno ulteriormente spinto al ribasso l’euro/dollaro. Il rapporto di cambio fra le due valute ha violato il supporto posizionato in area 1,25, arrivando a nuovi minimi in area 1,236 per poi chiudere la settimana a 1,2454. Tecnicamente il trend rimane ancora impostato al ribasso, con il cambio sempre più vicino all’area 1,20, storico supporto nell’ultimo decennio.

Il dollaro ha mostrato la sua forza anche nei confronti della sterlina inglese, con il «cable», cioè il cambio sterlina/dollaro sceso a 1,5878, mentre la banconota verde ha aggiornato nuovi massimi addirittura dal 2007 nei confronti dello yen giapponese salendo a quota 115.

Prosegue nel frattempo la caduta libera del rublo russo, che paga le tensioni in Ucraina, ma anche la debolezza delle quotazioni del petrolio, ed è scivolato ai nuovi minimi storici nei confronti delle principali valute. Il cross fra rublo ed euro ha superato per la prima volta quota 60, mentre il rapporto dollaro/rublo è arrivato fino a dei massimi a 48,5, valori davvero allarmanti per la divisa moscovita se si pensa che in estate la banconota verde era scambiata intorno ai 35 rubli. Situazione estremamente interessante sui metalli preziosi, con l’oro che dopo aver toccato i nuovi minimi degli ultimi quattro anni in area 1.130 dollari è rimbalzato con forza, chiudendo la settimana a 1.177 dollari l’oncia, non lontano dalla prima significativa resistenza, posizionata in area 1.180. In recupero anche l’argento, risalito a 15,75.

lunedì 17 novembre 2014

Trading online su Forex e derivati

Il segmento del trading online continua a crescere e trova nuova linfa dalla diversificazione dei mercati (derivati e forex registrano le percentuali più interessanti) oltre che dalla capillare diffusione delle piattaforme mobili. Il bilancio dei principali operatori, in occasione del Tol Expo, la rassegna sul trading online appena svoltasi a Borsa Italiana, è lusinghiero.

Fineco resta la società leader, anche sulla base delle operazioni registrate nel primo semestre da Assosim. «Nel 2014 - commento di Marco Briata, responsabile prodotti banking e trading di FinecoBank - il mercato del trading ha confermato la grande crescita del canale mobile e la diversificazione dei volumi su più mercati e prodotti finanziari. I clienti sono sempre più evoluti e attenti alle opportunità presenti sui mercati esteri o su asset class come bond, forex e indici.

L'operatività si sta progressivamente spostando sempre più verso il canale mobile, che da semplice strumento di appoggio sta sempre più diventando la piattaforma di riferimento, con una crescita di eseguiti di circa il 60% (1 sem 2014 vs 1 sem 2013)».

Resta in vetta per l'operatività IWBank. La società nei primi 9 mesi del 2014 registra una ripresa degli eseguiti sui mercati domestici, rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, in particolare la componente derivati si è rilevata significativamente brillante nelle fasi di maggiore volatilità. In ripresa anche il cash Usa, soprattutto nei primi mesi del 2014. «Assistiamo - commenta Andrea Gorlato, responsabile area commerciale IWBank - a un progressivo avvicinamento al trading di una fascia di investitori abituati ad operare in modo “occasionale”, anche a causa degli scarsi rendimenti di alcune asset class più tradizionali (come liquidità e bond)».

Tra gli ultimi player a sbarcare sul mercato italiano, uno dei più importanti in Europa, c'è l'olandese Binck. «Siamo in costante crescita - sul mercato italiano - dice Vincenzo Tedeschi, direttore generale BinckBank - con più di 4.000 clienti acquisiti in 2 anni e mezzo ed un aumento del 8% tra il 2 ed il 3 trimestre 2014 del numero di ordini eseguiti. Quello che ci contraddistingue e che rende la nostra offerta sempre più appetibile è rappresentato dai nostri servizi specializzati, come il Multicurrency extended ed il servizio di marginazione, e la vasta gamma di prodotti che è possibile negoziare tramite le nostre piattaforme».

Eseguiti in crescita addirittura con un picco del 53% per il forex nei primi nove mesi (e del 13% per i dispositivi mobili) per Directa, la storica società torinese che ha fatto da apripista al trading online in Italia. «Le percentuali - commenta Mario Fabbri, ad di Directa - sono forse un po' troppo lusinghiere, perché gli ordini si sono un po' ridotti come valore (più ordini ma di importo minore). Considerato il periodo, ci riteniamo più che soddisfatti».

Effetto traino con i derivati, infine, anche per Webank. Durante i primi nove mesi del 2014, confrontati con lo stesso periodo 2013, l'operatività trading della base clienti Webank ha subìto un leggero riassetto tra la componente cash e la componente derivati. A fronte di un incremento complessivo degli eseguiti, i clienti hanno aumentato l'operatività su strumenti derivati (+8%) riducendo contestualmente l'operatività su mercati cash (-4%). In particolare la crescita maggiore ha coinvolto le operazioni condotte sul mercato Idem di Borsa Italiana (+46%), mentre il calo più consistente ha coinvolto l'operatività su mercati obbligazionari (-28%), parzialmente compensata dalla crescita sul mercato azionario.

In crescita anche il mercato dei broker Forex, con il primo intermediario inglese ETX , che nonostante sia ancora poco noto in Italia sta aumentando vistosamente i volumi di trading grazie al migliori spread sul mercato, in particolare per il cambio euro-dollaro.

mercoledì 12 novembre 2014

Previsioni sul petrolio. Quota 50 dollari è possibile?

previsioni prezzi petrolioMentre i consumatori festeggiano la caduta dei prezzi del petrolio, la sua eventuale progressione e la sua durata agitano una serie di spettri sullo scenario internazionale. Prima di affrontarli, è necessario cercare di capire se la crisi è destinata a durare oppure no.

Per quanto avessi anticiPato nel 2012 quanto sta accadendo, non ho una sfera di cristallo: posso solo osservare che i motivi per cui indicai la possibilità di una caduta che nessuno pensava possibile sono ancora lì. La capacità produttiva mondiale di petrolio è cresciuta troppo, mentre la domanda ha continuato a crescere poco. Si è così creato un forte sbilanciamento che, a breve, è difficile da compensare.

Sarebbe necessario un forte rimbalzo dei consumi mondiali o un’azione decisa da parte dei grandi produttori, a partire da quelli riuniti nell’OPEC, ma entrambe le opzioni sono poco probabili per motivi che sarebbe troppo lungo spiegare in un breve commento. Altrettanto improbabile è una brusca interruzione del super-ciclo di investimenti che ha fatto lievitare la capacità produttiva, sia perché chi ha già speso buona parte del proprio budget continuerà a spendere per arrivare rapidamente a recuperare quanto ha già investito, sia perché una compagnia petrolifera – nella maggior parte dei casi - non può tagliare nottetempo i suoi investimenti senza il consenso del governo del Paese in cui opera, che non è così facile da ottenere. Difficile, inoltre, è che gli Stati Uniti riducano la loro produzione di petrolio, la cui impennata è stato il fattore più importante nell’aumento della capacità produttiva mondiale. La rivoluzione dello shale oil - seguita a quella dello shale gas - procede a passo impetuoso e, soprattutto, a costi che si riducono di anno in anno. Così, gran parte del nuovo greggio americano è capace di resistere a prezzi inferiori ai 65 dollari a barile. In queste condizioni, è possibile che il prezzo del petrolio scenda ancora, e potrebbe perfino precipitare se il panico si impossessasse del mercato. Solo in questo caso, cioè dopo una caduta verticale sui livelli inferiori a 60 o 50 dollari, sarebbe probabile una reazione forte sia della domanda mondiale, sia dei Paesi produttori e delle compagnie petrolifere. In altri termini, un vero collasso dei prezzi è possibile, ma avrebbe una durata limitata. Che il collasso si verifichi o no, una caduta prolungata dei prezzi dell’oro nero getta ombre lunghe sulla stabilità di alcuni Paesi critici per l’ordine mondiale.

Partiamo dalla russia, richiamando un elemento storico di solito trascurato. Negli ultimi 40 anni, la fortuna (o il declino) dei leader russi è andata di pari passo con i prezzi del petrolio. È stato così per l’ultimo Breznev, per Gorbaciov, per Eltsin e infine per Vladimir Putin che, grazie al volo dei prezzi del greggio (e del gas, legati al petrolio nei contratti di esportazione), ha potuto contare su stabilità e grande consenso interno. Ma ora che la maledizione dei prezzi calanti si ripresenta, lo stesso Putin avrà maggiori motivi di preoccupazione interna. Nel 2013, petrolio e gas hanno garantito oltre il 50 percento delle entrate statali russe, per le quali ogni calo di un dollaro del prezzo del greggio implica una perdita di 1.7 miliardi di dollari su base annuale. In linea teorica ciò significa che, se i prezzi rimanessero quelli di adesso, Mosca disporrebbe di quasi 50 miliardi di dollari in meno nel 2015, a cui si aggiungono altri 10-15 miliardi dovuti alle rinegoziazioni dei contratti del gas, su un budget di entrate (base 2014) di 400 miliardi di dollari. Un salasso micidiale, che unito alle sanzioni determinate dalla crisi Ucraina potrebbe aumentare esponenzialmente il malcontento verso Putin e spingere quest’ultimo a atteggiamenti più aggressivi sul piano interno e internazionale per sedare e mascherare i problemi interni.

I Prezzi del Petrolio in caduta, inoltre, potrebbero infiammare più di quanto non lo sia già la situazione dell’intero Medio Oriente e del Golfo Persico, partendo da due Paesi chiave di quello scacchiere: Arabia Saudita e Iran. Entrambi hanno abusato dell’abbondanza portata dal caro-petrolio per sussidiarie qualsiasi iniziativa sociale o consumo interno, in modo da contenere e confinare il malessere di popolazioni sempre più giovani (circa il 70 per cento delle popolazioni dei due Paesi è costituita da giovani sotto i 24 anni). Con l’avanzata del terrore islamico alle porte, il venire meno di introiti miliardari per Paesi in cui il petrolio genera tra il 60 per cento (Iran) e l’80 (Arabia Saudita) delle entrate statali potrebbe fare da detonatore per tensioni fino a oggi represse o sopite. E questo vale anche per altri Paesi del Golfo. Mi fermo qui per non agitare altri spettri, che non mancano.

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lunedì 10 novembre 2014

Previsioni sul rublo russo–rischi e opportunità

rublo russoIn quindici anni non era mai successo. Da quando è stato eletto per la prima volta al vertice della Federazione Russa, Vladimir Putin ha sempre festeggiato il suo compleanno al lavoro. L’anno scorso era a Bali, in Indonesia, per il forum sulla cooperazione economica dei Paesi dell’Asia-Pacifico. L’anno prima era a Mosca, in diretta televisiva per rilasciare una lunga intervista sui successi della sua presidenza. Questa volta è andata diversamente.

Martedì 7 ottobre, giorno del suo sessantaduesimo compleanno, «il capo di Stato è volato nella taiga siberiana per riposarsi ». L’insolita scelta, annunciata dal portavoce Dmitry Peskov, è stata spiegata così da alcuni analisti vicini al Cremlino: Putin può permettersi di prendere un giorno di pausa perché sa che il suo popolo non l’ha mai amato così tanto. A confermare la tesi ci sono i numeri. Quelli del Levada Center, una delle più autorevoli società di ricerca russe, dicono che il livello di popolarità dell’ex agente del Kgb a settembre è arrivato all’86 per cento, quasi venti punti in più rispetto a febbraio. Un balzo avvenuto in contemporanea alla crisi ucraina, all’annessione della Crimea a Mosca e alla guerra che ancora si combatte nel Donbass, la regione orientale dell’Ucraina.

Dietro l’ostentata sicurezza del suo presidente, la Russia nasconde un futuro incerto. Non si tratta solo dell’Unione Eurasiatica, progetto pensato da Putin per unire le ex Repubbliche sovietiche sotto l’egida di Mosca e ora depotenziato dalla svolta europeista di Kiev. A tenere sotto scacco il Cremlino è uno scenario di crisi economica interna difficile da affrontare per una nazione considerata ancora emergente, con una popolazione abituata a tassi di crescita annua vicini al 5 per cento e ora, improvvisamente, costretta a fare i conti con un prodotto interno lordo che stenta a navigare sopra lo zero.

La colpa va alle sanzioni economiche inflitte dall’Occidente, che stanno iniziando a farsi sentire nella Federazione. Ma, soprattutto, al repentino calo del prezzo del petrolio, colonna portante dello sviluppo economico russo. In quattro mesi il valore del greggio è calato di un quarto. Un barile di Brent, la qualità di petrolio più scambiata, è passato dai 115 dollari di giugno ai circa 85 degli ultimi giorni. Livelli che non si vedevano da quattro anni, e a cui i russi potrebbero doversi abituare.

Gli economisti di Goldman Sachs, in un report di fine ottobre, dicono infatti che il greggio «resterà probabilmente molto sotto gli 80 dollari fino al 2016». Se la profezia dovesse realizzarsi, per Mosca sarebbe un bel problema. La Russia ottiene circa la metà delle sue entrate fiscali dalla vendita di idrocarburi. E il suo bilancio pubblico, per mantenersi in attivo, ai livelli di spesa attuale ha bisogno che il Brent non scenda sotto i 100 dollari.

Insomma, in gioco c’è la sostenibilità del più vasto Paese al mondo. Non solo quella finanziaria. I proventi della vendita di petrolio, i cui prezzi sono triplicati da quando Putin è arrivato al potere nel 2001, hanno infatti permesso finora al Cremlino di varare misure popolari, come l’aumento degli stipendi dei dipendenti statali e il blocco dell’età pensionabile (60 anni per gli uomini, 55 per le donne) mentre in tutta l’Europa aumentava.

Putin finora ha gettato acqua sul fuoco. Ha detto di essere fiducioso, perché le cose miglioreranno. Ha sottolineato che, nonostante il calo del prezzo del greggio, il Paese non avrà problemi perché può contare sulle sue riserve monetarie. Il tesoretto in effetti esiste. In questi anni il governo ha accantonato 170 miliardi di dollari da usare come cuscinetto contro i ribassi del petrolio.

Ma quanto possono durare queste riserve se l’oro nero resta sotto quota 100? Gli esperti sono divisi. C’è chi dice quattro anni, chi tre, chi addirittura due. Tutto dipende dal valore esatto del greggio. «Di certo se il prezzo resterà ai livelli attuali per qualche anno», sostiene Neil Sharing, analista di Capital Economics, «la Russia non riuscirà a mantenere lo status quo». Qualche segnale negativo è già emerso. A fine ottobre l’inflazione è arrivata all’8,4 per cento, il massimo degli ultimi tre anni. Per evitare di rimanere strangolata dal calo del greggio, Mosca ha lasciato che il rublo si svalutasse, fino a toccare i minimi storici sull’euro e sul dollaro.

La valuta nazionale più debole, però, ha reso più care le importazioni. E così il costo della vita è schizzato verso l’alto. A ciò si aggiunge un altro fattore: l’embargo che il Cremlino ha imposto su buona parte dei prodotti agroalimentari europei. Una misura che impatta direttamente sui conti delle imprese del Vecchio Continente, ma che gradualmente sta facendo sentire i suoi effetti anche in Russia. In teoria, aveva detto Putin, il cibo made in Europe sarebbe stato sostituito da quello locale o di altri Paesi limitrofi, senza variazioni di costo per i consumatori. Non è andata così. Basti dire che a settembre il prezzo degli alimentari è aumentato dell’11,5 per cento rispetto al mese precedente. Rincaro che pesa soprattutto sulle fasce più povere della popolazione, finora rimaste fedelissime al presidente.

La contromossa di Mosca, per ora, non ha dato i risultati sperati. Anzi, ha peggiorato le cose. Per provare a contenere l’inflazione, la Banca di Russia ha alzato i tassi d’interesse, cioè il costo del denaro: da febbraio a oggi la governatrice Elvira Nabiullina ha portato i tassi dal 5,5 al 9,5 per cento. La misura ha avuto però l’effetto di rallentare una crescita economica già vicina allo zero. Di tutto questo, ufficialmente, il Cremlino non sembra preoccuparsi. La parola d’ordine è «fiducia». Talmente tanta da correre il pericolo di risultare irrealistica.

Nell’ultima legge finanziaria si prevede che l’anno prossimo l’inflazione sarà al 6 per cento, il prezzo del petrolio a 100 dollari e la crescita economica all’1,2 per cento. Peccato che, secondo tutti i centri studi internazionali, le cose andranno molto peggio. La Banca mondiale, per esempio, nel suo scenario di base stima che il pil crescerà dello 0,3 per cento l’anno prossimo e dello 0,4 nel 2016.

Insomma, ha scritto il settimanale britannico “The Economist”, «sembra che la Russia sia diretta verso la stagflazione», situazione in cui l’economia non cresce ma l’inflazione sì. Chris Weafer, analista di Macro Advisory, residente a Mosca da quindici anni, dice che «il rischio di un collasso della Federazione non è da escludere: più che un ulteriore calo del prezzo del greggio, improbabile perché danneggerebbe tanti altri Paesi, la Russia potrebbe finire a gambe all’aria se venissero inasprite le sanzioni, in particolare se le sue banche venissero estromesse dallo “Swift settlement system”, il sistema usato dagli istituti per trasferire i soldi tra di loro, la stessa misura adottata
dall’Occidente nei confronti dell’Iran».

Di certo, per ora, la guerra commerciale con Stati Uniti e Unione europea ha già causato parecchi danni all’interno della Federazione, e non solo per l’aumento dei prezzi del cibo. Il crollo del rublo, unito a un’economia che continua ad arrancare, ha fatto aumentare la fuga di capitali dal Paese. Secondo la Banca di Russia, nei primi nove mesi dell’anno sono usciti dalla Federazione 85 miliardi di dollari contro i 61 miliardi dell’intero 2013.

Tra le sanzioni annunciate negli ultimi mesi, una delle più dannose riguarda il divieto, per alcune delle principali società russe, di finanziarsi sui mercati occidentali. Un grattacapo non da poco, dato che negli ultimi tre anni le sole banche hanno trovato copertura per metà dei loro debiti proprio in Europa. Tra le aziende colpite c’è ad esempio Rosneft, la compagnia petrolifera nazionale guidata da Igor Sechin, che quest’anno ha in scadenza obbligazioni per 15,9 miliardi di dollari. Situazione simile per la Gazprom di Alexei Miller, colosso di Stato del gas, e per istituti di credito come Sberbank e Vtb.

Il divieto di fare credito a società russe ha avuto l’effetto di spostare il baricentro della Federazione verso est. Il legame con la Cina si sta rafforzando, ma Mosca dovrà pagare un prezzo: le sue aziende saranno infatti costrette a versare tassi d’interesse più alti, visto che senza l’offerta di Usa e Ue i costi di finanziamento risulteranno maggiori. Altro limite imposto dall’Occidente riguarda l’esportazione di tecnologia in Russia. Un divieto pensato soprattutto per bloccare lo sviluppo di nuovi giacimenti di gas e petrolio, di cui la Federazione è ricca ma impossibilitata a goderne senza l’aiuto di Europa e Stati Uniti.

Da quando il divieto è scattato, a settembre, parecchi progetti si sono bloccati. Uno dei principali si trova nel mare di Kara: il giacimento Pobeda, in russo “Vittoria”, è considerato uno dei più grandi al mondo tra quelli non ancora sfruttati, con una quantità di petrolio maggiore di quella contenuta nell’intero Golfo del Messico. Da quando sono scattate le sanzioni, l’americana ExxonMobil, che doveva svilupparlo insieme a Rosneft, si è ritirata dal progetto. Secondo la società di ricerca Ihs Cera, se le sanzioni resteranno invariate la produzione di petrolio in Russia calerà dagli attuali 10,5 milioni di barili al giorno a 7,6 milioni nel 2025.

Il futuro petrolifero di Mosca, che al momento resta il maggior produttore al mondo, dipende infatti dallo sviluppo di nuovi giacimenti. Quelli di shale oil, in particolare, l’oro nero intrappolato nelle rocce d’argilla, lo stesso che ha dato vita al nuovo miracolo economico americano. Secondo il Dipartimento dell’Energia statunitense, la Russia ha le maggiori riserve di shale oil al mondo, ma senza la tecnologia occidentale non è in grado di sfruttarle. Il giacimento più grande, chiamato Bazhenov, doveva essere sviluppato da Exxon e Rosneft. Poi sono arrivate le sanzioni e tutto si è fermato, così come le collaborazioni fra Shell e Gazprom Neft, la divisione petrolifera di Gazprom. Insomma, se le cose resteranno così, sarà impossibile per la Federazione russa aumentare la produzione petrolifera.

Perché, come ha spiegato l’amministratore delegato di Lukoil, Vagit Alekperov, un quarto della produzione di oro nero nazionale si basa sui servizi di tecnologia occidentale. «L’errore è stato quello di non usare i proventi degli idrocarburi per creare industria e rendersi indipendente, e ora Putin rischia di pagarne il prezzo», dice Alessandro Terzulli, capo economista della Sace, la società italiana che assicura i crediti delle imprese. Come dire: il colosso dai piedi d’argilla, come nel ’700 fu definita la Russia dal filosofo illuminista Denis Diderot, deve sperare che il petrolio torni sopra i 100 dollari e l’Occidente cancelli le sanzioni. Altrimenti Putin dovrà tagliare la spesa pubblica. E quando si taglia la spesa, si sa, anche la popolarità può calare.

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giovedì 6 novembre 2014

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lunedì 3 novembre 2014

I cambi più caldi sul Forex - previsioni novembre dicembre 2014

Quando si parla di oltre mezzo milione di italiani che praticano il trading online, non dobbiamo immaginarci un esercito di investitori che in ogni angolo del Paese passa quotidianamente ore davanti a uno schermo cliccando a ritmo frenetico ordini di acquisto e di vendita. No, la stragrande maggioranza, almeno il 90%, fa meno di 8 operazioni al mese: una sorta di cassettista digitale, versione evoluta del classico risparmiatore che acquista titoli e li tiene per lungo tempo, incassando le cedole delle obbligazioni o i dividendi delle azioni sino a quando non saranno salite al punto da convincersi a venderle.

tendenze forexI più attivi, quelli che maggiormente corrispondono alla figura del trader online nell’immaginario collettivo, il pubblico di manifestazioni come l’ITForum di Rimini o il TOL Expo di Borsa Italiana a Milano, sono di meno: circa il 6% di quel mezzo milione si posiziona tra i 9 e i 32 ordini al mese, il 2% tra i 33 e 200, mentre soltanto l’1% supera le 200 operazioni mensili.

Il trading online rappresenta l’effetto più evoluto dell’apertura ai privati a livello globale di mercati e strumenti finanziari a lungo riservati agli operatori professionali. Direttamente dal computer di casa o dal proprio smartphone o tablet, attraverso un intermediario online, si possono investire anche piccolissime somme sulle Borse più lontane, sulle valute più esotiche, sulle oscillazioni dell’oro come del succo d’arancia; potendo puntare sia sui rialzi sia sui ribassi, utilizzando gli strumenti a leva che moltiplicano i guadagni (e le perdite), comprando e vendendo nell’arco di minuti o di ore come di settimane o di mesi.

«Con le opportunità di investimento — osserva Carlo Alberto De Casa, analista di ActiveTrades, broker online londinese tra i più importanti in Europa con 20 mila clienti (7 mila in Italia) — è cresciuta al tempo stesso in modo significativo la preparazione dell’investitore medio, che ha scoperto modalità e tecniche innovative, con maggiore flessibilità e commissioni più basse ». Azioni e obbligazioni, conferma De Casa, restano il piatto forte del mercato. Ma anche in Italia le tendenze più evidenti sono state l’aumento di interesse per le materie prime e soprattutto per le valute. «Negli ultimi anni — conferma De Casa — è cresciuto in misura esponenziale, fino a rappresentare circa il 20% del totale, il numero dei trader che seguono il mercato valutario, il Forex, che a livello globale muove ogni giorno 5 mila miliardi».

Proprio in queste settimane esperti di Forex e di trading di Markets  stanno conducendo in tutta Italia un Tour di seminari gratuiti, aperti anche ai neofiti dell’investimento online. Ma quali sono le tendenze prevalenti tra i trader online italiani in questa fase dei mercati, tra interventi delle autorità monetarie ed effetti delle tensioni geopolitiche?

«Negli ultimi mesi – osserva De Casa – abbiamo visto un ritorno di fiamma verso il cambio euro/ dollaro, che era stato un po’ accantonato nella prima parte dell’anno, quando la volatilità era calata. Più interesse anche per la sterlina: l’economia britannica gira, al Paese ha giovato rimanere fuori dall’euro e la divisa ha fatto segnare nuovi record nei confronti di euro e dollaro, per poi arretrare sui timori legati all’esito del referendum scozzese di settembre. I trader si concentrano soprattutto sul cambio sterlina/ dollaro». In aumento anche le operazioni sulle valute australiana e neozelandese in rapporto al dollaro, così come i volumi su oro e argento dopo il lungo periodo di ribasso. La crisi ucraina e le difficoltà del governo di Ankara hanno fatto infine scoprire a molti anche il rublo russo e la lira turca, valute molto movimentate sul catalogo di Markets.