mercoledì 4 aprile 2018

Illecito investire in bitcoin?

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Ha fatto rumore, nei giorni scorsi, la decisione dei magistrati di Roma che hanno sequestrato il sito cryp.trade. C’è chi si è spinto a titolare «Illecito offrire bitcoin sul web». Non è così: l’intervento dei giudici è arrivato dopo due delibere della Consob, la 20110 del 13 settembre e la 20207 del 6 dicembre 2017, con le quali la Commissione ha prima sospeso e poi vietato l’offerta al pubblico in Italia di “investimenti di natura finanziaria” promossi sul sito dalla società Cryp Trade Capital.

Alla base non c’è stata l’idea di vietare l’offerta di cripto, ma il fatto che il sito le pubblicizzasse come “portafogli di investimento” e garantisse “rendimenti mensili dal 17 al 29%”: due fattispecie che hanno fatto scattare il reato di abusivismo finanziario (articolo 166 del Testo unico della finanza) sanzionato dai magistrati. In assenza di fattispecie di investimento e di promesse di rendimento, infatti, la Consob non può intervenire sulle cripto.

Il tema dei rischi delle cripto per i consumatori è stato ribadito lunedì 19 marzo da Banca d’Italia, che ha fatto sue le posizioni concordate il 12 febbraio dalle autorità di controllo europee ed è poi approdato alla riunione dei ministri delle Finanze e dei Governatori delle Banche centrali del G20 a Buenos Aires. Secondo il Financial Stability Board le cripto presentano rischi minimi per la stabilità finanziaria, perché anche ai massimi di mercato valevano “solo” l’1% del Pil globale, ma «sollevano molte questioni sulla protezione dei consumatori e degli investitori, così come per il loro uso per attività illecite, riciclaggio e finanziamento del terrorismo».

Intanto, dopo Google e Facebook, anche Twitter proibirà le pubblicità su bitcoin e cripto. Ma su siti come plus500 (broker che su questo sito abbiamo sempre sconsigliato  a prescindere) si possono compravendere contract for difference (Cfd) sulle criptovalute, mentre su piattaforme come eToro è possibile comprarle direttamente. La decisione dei giudici di Roma inoltre non tocca gli exchange, le “borse” online sulle quali vengono scambiate le criptovalute. Proprio le exchange, salvo quelle regolamentate, sono vere black box, “scatole nere” dalle quali non si riesce a capire se i dati sugli scambi siano reali o, piuttosto, se la domanda e l’offerta che asseritamente vi si incrociano siano invece manipolate. Le exchange non regolamentate sono dunque il vero tallone d’Achille per la trasparenza e la fondatezza delle quotazioni delle criptovalute.

Puoi trovare tutti i dettagli sulla tassazione dei bitcoin in questo libro.

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