lunedì 8 febbraio 2016

Ecco perché il dollaro tornerà a salire nel 2016

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Il biglietto verde si sgonfia, il petrolio prosegue nel tentativo di recupero mentre le Borse nicchiano in un’estenuante altalena in un trend di fondo che rimane ancora incerto e impostato al ribasso.

L’ultima giornata sui mercati finanziari ha restituito queste sensazioni agli operatori che narrano di una Borsa molto tecnica e, in assenza di notizie che possano imprimere una direzione precisa, rivolgono le attenzioni alle configurazioni grafiche con un occhio ai movimenti del petrolio e all'andamento del cambio euro/dollaro. Secondo un esperto interpellato da Reuters per Piazza Affari «solamente il raggiungimento del livello chiave di 17.800 potrebbe fare girare il mercato, ma dopo il sell-off visto in questi giorni è difficile che cambi il trend». Ieri, al termine di una seduta da montagne russe il listino milanese (più volte in direzione negativa nell’intraday) ha chiuso con un guadagno dell’1,23% (facendo meglio delle altre Borse europee, con Francoforte in calo dello 0,44%) completando un difficile mini-rimbalzo, con l’indice generale che si è posizionato a 17.600 punti che, in ogni caso, rappresentano il livello di settembre 2013. 

Resta il fatto che la Borsa milanese in due mesi ha perso un quarto del suo valore. Osservando la tempesta finanziaria delle ultime settimane (-17% da inizio anno per Milano, - 22% per Shanghai e -7% per Wall Street) i progressi fatti negli ultimi anni in termini di ritorno alla crescita (seppur molto timido) e di risanamento dei conti pubblici italiani (con il deficit/Pil sotto il 3% nonostante in questo momento ci sia bisogno di riattivare la domanda potenziando spesa e investimenti) sembra che non siano mai stati fatti. Così come pare che il quantitative easing avviato a marzo 2015 dalla Bce non sia servito a molto - al di là di tenere basso l’euro, che peraltro si tiene basso anche perché gli Stati Uniti sono stati i primi ad invertire la politica monetaria con l'effetto di un rafforzamento del dollaro nell’ultimo anno e mezzo. Lo stesso «Qe» che invece, fatto dalla Fed con largo anticipo e già nel 2009, ha fatto raddoppiare la capitalizzazione a Wall Street da allora.

I bancari a Milano ieri hanno rialzato un po’ la testa (+1,92%) ma da inizio anno resta il bagno di sangue (-28%). Peraltro non si tratta di un fenomeno isolato. Il settore bancario europeo ieri è tornato positivo (+2,5%) ma da inizio resta sotto del 20 per cento. L’entrata in vigore della normativa europea sul bail-in (salvataggi bancari non più appannaggio degli Stati) presenta ancora elementi di incertezza sulla ricaduta che questa potrebbe avere in termini di fiducia della clientela. Allo stesso tempo la tegola dei crediti deteriorati (per quanto siano maggiori in proporzione per le banche italiane) è un tema forte anche per alcuni importanti istituti di credito europei.
Nel frattempo il focus degli investitori in queste ore si sta spostando sulla Federal Reserve: i mercati ormai non solo scontano che a marzo non ci sarà nessun rialzo dei tassi (come invece da programma) ma a questo punto stanno mettendo in dubbio anche il rialzo preventivato a luglio. Gli ultimi dati macro che arrivano dall’economia statunitense indicano una situazione di decelerazione: a dicembre gli ordini di fabbrica sono scesi del 2,9% e gli ordini di beni durevoli sono arretrati del 5% a fronte del -4,5% stimato. In più le richieste di sussidi alla disoccupazione la scorsa settimana sono aumentate di 8 mila unità, salendo a quota 285 mila. Gli analisti avevano previsto un incremento minore, a quota 281 mila unità.
Numeri che stanno spingendo le vendite sul dollaro: il dollar index - che misura l’andamento del dollaro su un paniere delle più importanti valute globali - ha perso il 3% in una settimana. L’euro si sta rafforzando: ieri è tornato a superare 1,12 dollari, circa il 4% in più rispetto a pochi giorni fa quando girava intorno a 1,08. Si tratta di un movimento ampiamente prevedibile, così come il calo dei rendimenti dei titoli di Stato statunitensi che viaggiano intorno all’1,8%, i livelli di aprile 2015 (mentre i BTp decennali sono all’1,53% con spread sul Bund in rialzo a 123 punti). Mentre molti operatori fanno francamente fatica a capire l’attuale trend ribassista dei mercati azionari europei (nonostante il mini-rimbalzo di ieri di Piazza Affari) sempre più lontani dai fondamentali. A questo punto le spiegazioni possibili sono due: 1) gli investitori stanno iniziando a scontare uno scenario potenzialmente recessivo; 2) i mercati sono preda di vendite “dovute” e quindi slegate dai fondamentali da parte di alcuni fondi sovrani che starebbero reagendo in questo modo alla flessione degli ultimi mesi del prezzo del petrolio, per recuperare liquidità in grado di finanziare i conti pubblici. Intanto il petrolio basso (-70% da luglio 2014) continua a mietere vittime negli Usa: la texana ConocoPhillips , ha chiuso gli ultimi tre mesi con una perdita di 3,5 miliardi di dollari. E un’altra texana, la Occidental Petroleum, ha perso nell’ultimo quarto 5,18 miliardi, il rosso più ampio degli ultimi 25 anni. Dalla guerra delle valute siamo a quella delle materie prime. Difficile immaginare dove ci porterà.

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