lunedì 26 agosto 2013

Forex–il dollaro ultimo bene rifugio

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Come in ogni thriller al cardiopalma, alla fine ne restò uno solo. Nel giallo dei mercati in preda alle «trame» della Federal Reserve, l'ultimo bene rifugio a resistere al dramma è diventato il dollaro. Le vittime sono cadute in rapida successione: gli asset tipicamente più rischiosi, da azioni e obbligazioni ad alto rendimento ai mercati emergenti. Come quelli finora giudicati più sicuri, dagli Exchange traded funds ai titoli del Tesoro americani o tedeschi. Il petrolio come anche il bene di qualità per eccellenza, l'oro. Lo scivolone simultaneo di molteplici categorie di asset rappresenta un paradosso solo apparente. Ha dato in realtà prova visibile di quanto tutti i mercati, ai quattro angoli del globo, fossero assuefatti alle straordinarie iniezioni di liquidità della Fed, ormai durate quasi cinque anni.

E momenti di paura o panico generano elevata correlazione anche tra asset che dovrebbero, in giorni meno tormentati, consentire hedging gli uni contro gli altri. All'ordine del giorno sembra esserci un repricing di rischi e valori degli asset, tutti gli asset, anzitutto sulla base della percepita svolta restrittiva e di «normalizzazione» della politica monetaria più influente del pianeta. Gli esempi simbolo di questo repricing, anche nei tradizionali beni rifugio, non mancano. Per l'oro una caduta di preoccupazioni inflazionistiche potrebbe aver accelerato una correzione già in atto - il metallo giallo era salito anche oltre quota 1.900 nel 2011 - e che potrebbe continuare.

Le obbligazioni, con rendimenti spediti ai massimi da due anni, risentono di una prefigurata uscita da una manovra Quantitative easing che acquista tuttora 85 miliardi di bond al mese tra Treasuries e titoli garantiti da mutui. Se la prova della sua influenza è indiscutibile, ciò che resta da dimostrare è se la Fed abbia avuto nel più lungo periodo ragione e riuscirà a evitare una maldestra gestione delle aspettative del mercato. Evitare scosse, volatilità e forse correzioni appare impossibile, né è auspicabile: numerosi asset sono stati gonfiati oltremisura dal denaro facile e devono smaltire il tramonto, quantomeno, di operazioni speculative. Ma troppi traumi, intravisti nelle ondate di vendite generalizzate delle scorse sedute, possono rivelarsi pericolosi, generare anziché un ritorno alla normalità scompensi e squilibri per un'economia reale ancora fragile.

A questo ha alluso uno degli stessi esponenti del vertice della Banca centrale, James Bullard della sede di St. Louis, che venerdì ha definito le parole della Fed sulla fine del Qe «inappropriately timed», sbagliate nelle scelta dei tempi. E i traumi non possono essere esclusi a priori: la Fed ha compiuto il suo annuncio sul piano di graduale ritiro dello stimolo postulando una schiarita di espansione dell'occupazione, nel recente passato parsa elusiva (tanto da smentire precedenti pronostici ottimistici dell'istituto centrale). La posta in gioco sui mercati, dunque, non potrebbe essere più alta. Bernanke ha cercato di mostrarsi rassicurante, affermando che la Banca centrale continuerà a essere flessibile nell'utilizzo del Qe e che vere strette a colpi di ralzi dei tassi di interese sono di là da venire. Queste assicurazioni non sono tuttavia bastate, almeno nei giorni scorsi, a calmare il nervosismo di investitori che temono di restare orfani anche di beni rifugio.

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